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Molte attenzioni, in questi anni di sviluppo digitale, sono state rivolte alla gestione dei dati, alle loro implicazioni ed alle loro specifiche conseguenze in termini di spazio, sicurezza ed efficienza. Nuovi argomenti hanno iniziato a farsi largo con insistenza nella letteratura scientifica ed economica, sia nei corsi di formazione specialistici che nelle nuove professionalità richieste dalle aziende: dal data scientist, al data analyst sino ad arrivare agli esperti di artificial intelligence o data warehousing.
Come spesso capita, quando un aspetto diventa “moda”, si è portati a concentrarsi solo su quella novità, dimenticandosi troppo in fretta di come sia invece necessario mixare tradizione e innovazione per arrivare a soluzioni aziendali di concreto successo.
L’aspetto dati non fa eccezione in tal senso. La tecnico e la tecnologia sono importanti, ma solo se non considerate in modo isolato, come valore a se stante. Esse diventano innovazione, invece, quando sono utili per supportare le decisioni di guida aziendale. L’imprenditore non è interessato al “dato in quanto tale” ma ne risulta affascinato solo se è realmente in grado di portare conoscenza della propria organizzazione, evidenziando posizionamenti competitivi, trend o potenziali scenari di reddito o rendimento.
Perché i dati siano un “valore” per le nostre aziende, è necessario quindi saperli utilizzare e scegliere. Da questa contesto emerge con forza una figura professionale che solo apparentemente può ritenersi tradizionale ma che in realtà è estremamente nuova: il Business Coaching, esperto di riferimento per le analisi di dati, che conosce la finanza, i processi e le metodologie di creazione dei dati.
Un professionista interno o esterno all’azienda, libero dalla faticosa elaborazione dei dati, ma che ne condivide le logiche, per essere in grado di valutare, commentare e guidare la navigazione sui report e dare significatività imprenditoriale ai risultati espressi dai dati