Negli anni ‘80 si parlava del Giappone, da fine anni ‘90 si è parlato della Cina, e a ruota si è cominciato a parlare dell’India. Oggi si parla dei paesi BRICS, sigla comprendente Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa: in queste economie emergenti e aggressive sembrano essere riposte le speranze degli investitori per i prossimi decenni. La cattiva notizia è che non solo in questa rassegna di economie rampanti l’Italia non c’è, ma nemmeno riesce a imporsi come potrebbe/dovrebbe su questi mercati. E non c’è da stupirsene: stabilirsi e affermarsi in paesi così lontani e complessi richiede una mole di investimenti consistente, spesso fuori portata per la galassia di imprese piccole e nane di cui è composto il nostro polverizzato settore industriale. Ma la buona notizia è che a questo novero di paesi in crescita oggi possiamo aggiungere anche una nazione più vicina a noi sia da un punto di vista geografico che culturale: è alla Turchia che le imprese italiane dovrebbero guardare, quindicesima nazione al mondo con un Pil (a parità dei poteri d’acquisto) pari a 1,054 trilioni di dollari.
Ciò che appare veramente impressionante è la velocità di crescita di questa economia: nel 2010, mentre per l’Europa appariva un sogno crescere di due punti percentuali, il Pil turco ha segnato un incremento del 9%, e tale crescita prodigiosa si è assestata su di un livello quasi equivalente perfino nell’annus horribilis 2011. Nonostante la parte più remota del paese rimanga fortemente ancorata alle proprie radici rurali, nei centri grandi e medio grandi (quindi non solo nelle metropoli, Istanbul e Ankara) si stanno affermando industrie di vario tipo, dal tessile, al meccanico, al siderurgico.
Senza dimenticare il settore turistico, che sta insidiando il primato greco nel mediterraneo orientale. E non vi sembrano, questi, settori industriali che noi italiani conosciamo piuttosto bene, e che ci consentirebbero di usare il nostro know-how come biglietto di ingresso?
Un’attenzione particolare dovremmo poi riservarla al settore delle costruzioni, che in Italia sta attraversando un periodo nero. Per esperienza diretta, ricordo che quando andai ad Ankara nel settembre 2010 per un workshop organizzato dalla Commissione Europea, ciò che colpiva maggiormente fin dall’arrivo in aeroporto era la vista di una città in veloce espansione. Dalla collina sulla quale è edificato il mausoleo di Ataturk, che domina tutta la città, era possibile rimirare all’orizzonte una selva infinita di gru che innalzavano interi quartieri sia nelle periferie più remote che in prossimità del centro.
In conclusione, non ci sono scuse: la Turchia è un mercato assolutamente a portata di mano e in cui le nostre imprese avrebbero grandi opportunità. Spetta a queste ultime quindi decidere se cavalcare questa nuova fase di espansione dell’ex impero ottomano o se subirla, lasciando ad altri le remunerative possibilità che offre. Memento: specie in un periodo di recessione, ogni rinuncia è una sconfitta.