Skip to main content

Le continue rievocazioni delle olimpiadi che si tennero esattamente 50 anni fa a Roma, nell’estate del 1960, dicono molto sulla situazione italiana. Puntualmente i telegiornali e i programmi di intrattenimento ci ripropongono gloriose immagini di atleti che esultano, di giubilo che esplode tra gli spettatori, di politici che si compiacciono del mirabile traguardo raggiunto dalla città eterna. Ma una volta svanito il dolce abbandono iniziale dato dalla nostalgia, queste immagini iniziano ad infondere una profonda tristezza, perché dipingono un’Italia che, benché non ancora totalmente emancipata dalla povertà, piena di speranze, grandi progetti: un’Italia in cui si era certi che il domani sarebbe stato migliore dell’oggi e che i sacrifici sopportati dai padri sarebbero andati a beneficio dei figli.

Di questo entusiasmo sembra priva l’Italia odierna; ne è la prova il fatto stesso che i media per celebrarne il nome si appellino sempre al passato, in quanto tutto ciò che ci ha resi grandi e noti all’estero appartiene a stagioni ormai trascorse. Si pensi alla Dolce Vita, alla Vespa, al nostro cinema d’autore di registi come Fellini e De Sica e pure al cinema di serie B, così artigianale e sgangherato eppure fonte di ispirazione per un genio come Quentin Tarantino.

Ma si pensi pure alla Milano da bere, capitale mondiale della moda e diretta concorrente in fatto di glamour di metropoli come Londra e New York, relegata una volta per tutte nell’armadio dei lustrini degli anni ’80. L’Italia di oggi, si presenta come un paese invecchiato, conservatore, intimorito dalle prospettive globali che si affacciano sul mondo. Ma soprattutto si presenta come un paese pessimista, troppo stanco o troppo imbolsito per credere davvero in un proprio rilancio, in linea con il resto della vecchia Europa, che passivamente accetta il passaggio di testimone alle aree del mondo in via di sviluppo, più giovani e aggressive.

Nonostante questo quadro a tinte fosche, esiste però ancora un’Italia su cui puntare: è quella della famosa “maggioranza silenziosa” che non va sui giornali, fatta di amministratori pubblici virtuosi, di servizi locali efficienti nonostante i tagli di bilancio, di dipendenti che lavorano il doppio per coprire il buco lasciato dai fannulloni. Un’Italia fatta di piccole e medie imprese che nonostante la pressione fiscale altissima, l’inefficiente macchina burocratica, i concorrenti disonesti, riescono con mille sforzi a portare avanti business internazionali, dare lavoro a migliaia di persone e – nel loro piccolo – ad innovare.

Se il nostro paese vuole avere qualche speranza di rilancio in un futuro non troppo lontano, è su questa Italia laboriosa che deve puntare, prestando attenzione alle sue esigenze ed incentivando le sue virtù. La situazione di disagio sociale dalla quale emanciparsi è già tristemente arrivata e spetta a noi accantonare dolci e nefasti amarcord puramente stilistici e recuperare invece la passione e i muscoli che i nostri padri seppero mostrare in quel lontano 1960.