C’è una complessa dimensione che raggiungi una volta che arrivi ai vertici della tua organizzazione, che rischia di appannare le qualità che ti hanno permesso di arrivare fino a lì: la solitudine.
Sei il leader, colui a cui tutti si riferiscono e dal quale ci si aspetta risposte adeguate, puntuali ed efficaci, a cui non è permesso sbagliare, con il dovere di dimostrare continuamente che meriti la responsabilità che ti è stata data. Alle pressioni ci si abitua già prima, tuttavia ti trovi di fronte un qualcosa che pesa maggiormente e che, anche senza esserne consapevole, potrebbe influenzare negativamente – o rischia di farlo – il tuo modo di interpretare il nuovo ruolo.
La sfida quindi a cui si è chiamati a rispondere è entrare in sintonia con questa solitudine, ascoltando e accettando le paure di cui essa è portatrice, ma senza farsi rapire da esse.
La sicurezza non deve arrivare dall’esterno, ma dalla qualità del tuo intento. E’ proprio lì che fortunatamente la solitudine ti porta, ad affrontare e approfondire tuo malgrado le motivazioni, facendo sì che emerga la verità che le contraddistingue affinché, come ogni leader, tu possa attingere forza dall’onestà intellettuale. Perché se il tuo progetto è utile a tutti, da solo è sufficiente a mantenerti in equilibrio quando serve.
La vera leadership non arriva perché sei perfetto in tutto, bensì dalla conferma che ciò che ti muove è vero e sano. Perché gli occhi con cui comunicherai non saranno imploranti di consenso o distaccatamente freddi, bensì carichi di quel credo con cui i grandi leader hanno coinvolto chi doveva seguirli. Il momento della solitudine diventa quindi il momento di verità che ti aiuta a rinnovare il senso del tuo lavoro e la preziosità anche per gli altri del tuo ruolo.