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“Anche se i dati sono più deboli di quanto atteso, a fronte di una domanda estera e di fattori specifici di paesi e settori, la domanda interna sottostante continua a sostenere l’espansione e a spingere gradualmente l’inflazione”. Con queste parole ,nell’ultima conferenza dell’anno, il presidente della Bce ha decretato la fine del Quantitative Easing.
2.600 miliardi di euro di nuovo denaro iniettati nell’economia europea negli ultimi 48 mesi hanno aiutato l’eurozona a rialzarsi dopo la crisi del debito del biennio 2010-2012 ed evitato uno scenario deflattivo simile a quello vissuto dal Giappone per oltre un decennio. D’ora in poi Francoforte reinvestirà sul mercato solo i proventi dei titoli che andranno in scadenza che ammontano mediamente a 10-15 miliardi al mese.
Il “Whatever it takes” è ormai lontano, la medicina ha smesso di essere somministrata al paziente ma ancora occorre capire se l’ex malato può essere considerato perfettamente guarito. L’ultimo bollettino licenziato dalla commissione europea mette in evidenza che il 2017 è stato l’anno in cui il vecchio continente ha raggiunto la sua crescita massima (2,4%) e già dal 2018 la stessa si assesterà al 2% per poi scendere all’1,9% (corretto all’1,8% dalla Bce) nel 2019 e all’1,7% – 1,5% rispettivamente nel 2020 e 2021.
Anche l’auspicio di Mario Draghi sul fronte della dinamica dei prezzi difficilmente si realizzerà in quanto la crescita dell’inflazione, dopo il picco all’1,8% di quest’anno, vivrà già una dinamica di rallentamento negli anni prossimi costringendo presumibilmente la Bce ad aspettare ben oltre la prossima estate l’avvio del rialzo dei tassi di interesse ancora oggi sotto il livello dello zero.
Finita la grande abbuffata della liquidità immessa dalle banche centrali, anche in Europa saremo costretti ad agire sulla leva fiscale per continuare a far crescere, seppur in maniera meno vigorosa, l’economia. Lo scenario prospettico non è però dei più favorevoli. L’accordo tra la Gran Bretagna e la Ue a tutt’oggi non è raggiunto e l’unico risultato certo è che la scelta fatta col voto referendario costerà tantissimo agli inglesi.
La grande battaglia per il predominio mondiale che si è scatenata tra Usa e Cina a colpi di centinaia di miliardi di dollari di dazi e di sabotaggi sul fronte tecnologico della trasmissione e della raccolta dei dati, sta generando all’amministrazione trumpiana un incremento di deficit di bilancio annuale enorme arrivando a toccare il 6% annuo nel prossimo triennio. Sul fronte cinese invece assistiamo ad un aumento del debito privato che ha raggiunto livelli allarmanti e che da sempre risulta essere l’elemento scatenante delle grandi crisi finanziarie del passato.
Già oggi l’economia mondiale vanta il triste primato di un debito complessivo arrivato alla cifra di record di 233.000 miliardi di dollari a fronte di una ricchezza globale prodotta annualmente di 80 mila miliardi e pensare di vederlo crescere ai ritmi degli ultimi anni di sicuro non fa dormire sonni tranquilli a molti finanziatori ed investitori.
Nel palazzo Berlaymont, in Rue de la Loi a Bruxelles, i commissari dovranno fare scelte che finora hanno sempre differito nel tempo grazie alla costante azione della Bce. Il quesito che ora va posto è: accettare un graduale rallentamento dell’economia europea oppure intraprendere un nuovo corso, facendo abbandonare a chi governa la nave quella rigidità nordica che di fronte alla collera dei gilet gialli li ha visti sciogliersi come la neve al sole?
L’enorme denaro stampato ci lascia con tanta ricchezza, tanto debito e tante problematiche sociali ed umanitarie in più rispetto ad un decennio fa , quando scoppiò la bolla finanziaria. Le sfide da affrontare sono molteplici ed i rischi ben presenti davanti agli occhi di tutti noi. Un nuovo modo di agire però si impone.
“Il naufragio peggiore è quello di chi non ha nemmeno lasciato il porto” Amyr Klink.