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L’innovazione e la disruption tecnologica stanno rivoluzionando interi modelli di business ed il nostro modo di vivere. Il 90% dei dati a livello globale è stato generato solo negli ultimi due anni e di questi se ne utilizza attualmente meno del 2%.
Rende meglio l’idea pensare che la quantità di dati che il mondo produce ogni giorno equivale a quella contenuta in un video di durata superiore ai due miliardi di anni e che la quantità di byte prodotta da una persona in 24 ore, se misurata in chicchi di riso, corrisponde ad una produzione di otto containers, oppure che in tutto il mondo nello stesso arco temporale vengono prodotti 2,5 exabytes di dati corrispondenti a coprire di riso gli interi Stati Uniti d’America (fonte Pictet). Questa quantità di dati generata globalmente continuerà ad aumentare passando da 0,1 Zettabytes del 2005 agli attuali 30 Zb di oggi fino ad arrivare ai 163 Zb del 2025 (fonte Idc).
Per intenderci 1 Zettabytes corrisponde a circa 180 milioni di volte le documentazioni conservate nella Biblioteca del Congresso di Washington. Entro quella stessa data (fonte Gsma Intelligence) si valuta che 25 miliardi di dispositivi saranno connessi in modalità Iot (Internet Of Things) con una connettività che si sta diffondendo al di là degli strumenti tradizionalmente usati, computer e smartphone, a tutti i settori della nostra vita quotidiana ed a tutti i processi produttivi delle imprese.
Se nel 2015 il 42% della popolazione mondiale (fonte eMarketer) era connessa ad internet si prevede che nel 2020 la connessione raggiunga la quasi totalità della popolazione del pianeta.
McKinsey prevede che da qui al 2025 l’internet delle cose avrà l’impatto maggiore sul sistema economico mondiale tra tutte le tecnologie disruptive con un potenziale economico compreso tra una forbice di 3,9 e 11,1 trilioni di dollari attraverso la generazione di nuovi modelli di business e la trasformazione dei processi esistenti.
Ma l’internet delle cose, l’automazione e l’intelligenza artificiale rappresentano una minaccia o una risorsa per l’uomo? I robots cancelleranno milioni di posti di lavoro o ne creeranno?
Concentrando l’analisi sul nostro paese, generalmente fortemente tecnofobo, un importante spunto di riflessione ci viene fornito da uno studio condotto da una Banca primaria italiana ed elaborato dal Politecnico di Milano. Su un campione di 4.673 imprese con profilo Ateco, le 72 più attive nell’industria 4.0 hanno evidenziato una crescita del fatturato (base 100 anno 2010) del 16%, il doppio del campione di riferimento. L’Ebitda prodotto è passato dal 7,2% del 2010 al 9,9% contro un 5,8% del campione. Il Roi delle 72 aziende è salito del 47% dal 2010 passando dal 3,8 al 6,1% contro un modesto 1,7% di quello delle altre.
Il costo del lavoro per dipendente nelle aziende attive 4.0 in cui è richiesta maggior competenza è passato da 50,3 a 55,2 mila euro mentre quello del campione nel periodo è rimasto stabile a 42 mila.
Il valore aggiunto per dipendente nelle prime è passato dai 73,6 mila ai 92,2 mila euro attuali mentre quella del campione è rimato stabile a 57,8 mila euro. Nelle aziende 4.0 a fronte di un aumento del costo del lavoro del 10% si è quindi generato un aumento di produttività del 25% a differenza della produttività dell’intero campione rimasto assolutamente ingessata.
Investire in tecnologia vuol quindi dire più produttività che comporta più competitività che a sua volta genera più fatturato e più crescita capace di creare nuova occupazione competente.
Oggi per l’impresa i dati, pur essendo intangibili, rappresentano un fattore produttivo assolutamente fondamentale al pari di materie prime, lavoro, capitale ed energia, ed il livello di adozione delle nuove tecnologie, entro i prossimi cinque anni, coprirà circa il 70% di tutte le imprese.
La rivoluzione delle rivoluzioni è arrivata, compito nostro è adeguarci molto velocemente.