“Le cose più spaventose e tremende che uno percepisce non devono in nessun caso essere sottaciute e neanche soltanto falsificate”. Non si può non essere d’accordo con il grande scrittore austriaco Thomas Bernhard (1931-1989), a cui rubo questa citazione, nel commentare l’Italia uscita dal voto delle elezioni politiche 2018. Un esito che Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno descritto come “una nuova Brexit”.
Ma se Brexit aveva visto l’Ukip e l’ala più oltranzista del Partito Conservatore vincere con un modesto scarto di voti rispetto ai sostenitori del Remain, ben il 55% per cento degli elettori italiani ha manifestato sostegno a forze fortemente antieuropeiste come i 5 Stelle, la Lega e Fratelli d’Italia. Le tre formazioni politiche sono accomunate da un’altra peculiarità, che rappresenta una profonda cesura nella storia repubblicana del nostro Paese: i loro leader rifiutano di dichiararsi antifascisti. La contemporaneità è attraversata da un grande scontro tra una visione del mondo orientata all’apertura, alla libera circolazione delle merci e delle persone e a una condivisione dei valori democratico-liberali da un lato, e tra forze orientate alla chiusura, alla diffidenza verso gli stranieri, al disprezzo della scienza, alla tendenza a delegare a uomini forti la risoluzione dei problemi dall’altro. L’Europa è a rischio. Resiste un nucleo guidato da Francia e Germania, al quale rimane legato il carro dei Paesi del Nord Europa.
Ma questo zoccolo duro è insidiato da minacce mortali. Regimi nazionalisti e autoritari a est, in Polonia, Ungheria, Bielorussia, nei Balcani e in Russia, che Predrag Matvejevic definiva una democratura, cioè un mix di democrazia e dittatura, il secessionismo catalano, l’isolazionismo inglese, l’espansionismo islamista di Erdogan, le petromonarchie saudite, ferme a un interminabile medioevo islamico, gli ayatollah nel Golfo Persico, il populismo atomico di Trump, la crisi greca e il collasso della Libia. A questo scenario si è aggiunta l’Italia di Salvini e Grillo, dove ora scricchiola perfino l’unità nazionale, tra un sud che reclama il reddito di cittadinanza e un nord che invoca la flat-tax.
Non è facile trovare chiavi di lettura per questa gigantesca crisi. A chi scrive, tornano in mente il sovversivismo delle classi dirigenti di Gramsci e il fascismo come autobiografia della nazione di Gobetti. Ma non c’è dubbio che dal 1992 a oggi un pezzo della classe dirigente del nostro Paese, magistrati, giornalisti, editori, ecc. abbiano praticato scorciatoie gattopardesche che hanno accelerato il cataclisma politico in atto. Quel che restava della vecchia sinistra radicale di fatto è morto e pochi ne avvertono la nostalgia. Neanche la socialdemocrazia e il liberalismo stanno tanto bene, ma buttare via il bambino con tutta l’acqua sporca non è mai un’idea brillante. Ci tocca tornare molto indietro nel tempo, al 1789, ai valori di libertà, uguaglianza e fratellanza che ispirarono la Rivoluzione Francese e che restano un faro potentissimo per tutta l’umanità.