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E’ risaputo ormai da tempo che la scienza economica va integrata con i risultati della ricerca psicologica.
Il paradigma economico standard non funziona. La razionalità delle percezioni, la razionalità delle preferenze, la massimizzazione dell’unità attesa e le aspettative razionali non rappresentano gli elementi dell’investitore nella sua operatività quotidiana, in quanto la realtà di ogni giorno, sui mercati e nei portafogli, risulta quantomeno paradossale.
Il sovraccarico informativo influenza talmente tanto le persone generando in loro distorsioni psicologiche che si ripercuotono nelle loro scelte d’investimento.
Le scorciatoie mentali (euristiche) quali la disponibilità, la rappresentatività e l’ancoraggio insieme ai pregiudizi (bias) quali il conservatorismo, l’iper-sicurezza, rimpianto, ottimismo, l’effetto dotazione ed il senno del poi sono gli elementi che conducono a questo risultato paradossale.
Mettere in relazione questi nostri comportamenti nell’ambito degli investimenti con quanto accaduto il 4 marzo scorso risulta essere con senno di poi, un’impresa non così impossibile.
Abbiamo ancora tutti davanti agli occhi l’immagine della nuova colorazione dell’Italia politica divisa tra il blu ed il giallo e macchiata solo da pochissime aree rosse rimaste in qualche feudo tosco-romagnolo.
Questa nazione profondamente trasformata è stata ben analizzata nel post voto dall’istituto Ipsos.
Emerge dalla loro ricerca che il bacino dei 10.617.085 elettori ed elettrici del Movimento 5 Stelle sia rappresentato per il 31,2% dai ceti più abbienti con una molto alta percentuale di laureati e diplomati.
Nulla quindi a che vedere con i pregiudizi ed il pensiero di molti italiani che raffigurano l’elettore del Movimento poco colto, pronto solo ad aspettare il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia e grande promessa elettorale dei vertici pentastellati.
Nessun’altro partito può vantare una così alta percentuale di individui con tale grado di preparazione scolastica.
Rimane fondamentale ricordare e conoscere i numeri della spesa pubblica italiana, che a fronte di un Pil aumentato dell’1,5% nel 2017 (pari a 1.716.238 mln di euro), ammonta a 829,1mln di euro con questa distribuzione: 270mld è la spesa destinata alle pensioni pari al 32,57% della spesa totale, 125mld ai servizi pubblici generali, 110mld spesa sanitaria, 67mld alle prestazioni sociali, 66,4mld alla spesa degli interessi del debito pubblico, 65mld all’educazione, 64mld per investimenti e trasferimenti, 24,7mld all’ordine pubblico ed alla sicurezza, 23,4mld alla difesa, 12mld alla cultura e per finire 2,1mld pari allo 0,25% della spesa pubblica totale all’ambiente.
Questi sono i numeri che debbono riportare tutti noi alla razionalità.
Come potrà mai essere possibile offrire un reddito di cittadinanza e nello stesso tempo ridurre il debito pubblico riportandolo sotto il tetto del 100% del Pil durante la nuova legislatura, tra l’altro in un contesto che volge verso la fine delle politiche a tasso zero che tanto ci ha fatto risparmiare alla voce spese per interessi è ancora tutto da definire.
Probabilmente il cambiamento è stato parecchio sopravvalutato ed il paradosso, che tanto è visibile nei comportamenti degli investitori, si è evidenziato anche in questa tornata elettorale.
Sicuramente Bruxelles ci tiene fortemente monitorati e la Troika ci spia dal buco della serratura.