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Nel mondo della cooperazione si discute molto, secondo alcuni anche troppo. Ma le cooperative sono fatte così: checchè ne dica chi non le ha in simpatia, sono trasparenti. La definizione di modalità per l’esercizio di un potere decisionale da parte dei soci che salvaguardi anche l’efficacia e l’efficienza dei sistemi di governo (le cooperative infatti sono imprese, non circoli ricreativi) è uno dei temi di queste discussioni, proprio perché il principio una testa, un voto non è fuffa, è realtà.
Di recente il movimento cooperativo emiliano ha preso un’altra decisione di grandissimo significato: ai soci di Coopsette, Unieco e Indaco, che rischiavano di perdere i soldi prestati alle tre cooperative andate in crisi, saranno restituiti, da parte di altre cooperative e dei soci di queste, 7 milioni di euro. Questi soci recupereranno nel tempo un’altra parte dei loro prestiti al termine delle procedure concorsuali che coinvolgono le tre cooperative. E’ assai probabile, perciò, che i soci delle tre cooperative riescano a recuperare almeno il 40% dei soldi che avevano prestato alle tre aziende. Questi 7 milioni si aggiungono agli altri 23 milioni che le cooperative aderenti a Legacoop Emilia Ovest avevano già raccolto, negli anni scorsi, per aiutare i soci di altre importanti cooperative andate in crisi. Provvedimenti di questo tipo hanno indubbiamente un forte impatto sociale, ma hanno anche conseguenze sul piano della teoria economica. Le cooperative, in sostanza, da un lato sono imprese che, come tutte le altre, devono competere sui mercati e offrire prodotti e servizi a condizioni più convenienti dei loro competitor. Dall’altro, confermano di mantenere caratteristiche del tutto peculiari. E’ sorprendente, perciò, il fenomeno che si è affermato nell’opinione pubblica emiliana.
La crisi del debito degli stati sovrani, quella per intenderci che nel 2011 vide gli spread schizzare verso l’alto e portò alle dimissioni del Governo Berlusconi, ha fatto sì che nella percezione dei risparmiatori perfino l’investimento in Bot sia ormai considerato parzialmente a rischio. La temporanea insolvenza che ha colpito stati come la Grecia, infatti, ha dimostrato che non è detto che il debito pubblico sia sempre rimborsabile. Nel caso delle cooperative, invece, da parte di molti si pretende che prestiti tipicamente a rischio, come il prestito dei soci alle imprese, siano sempre garantiti, almeno in parte.
E’ fortemente auspicabile che venga introdotta una nuova disciplina legislativa del prestito dei soci alle cooperative, ma sarebbe opportuno evitare l’esasperazione dei toni, che non è mai buona consigliera quando bisogna affrontare complesse questioni di natura economica e finanziaria. Le crisi di alcune grandi imprese private del nostro territorio, invece, sono state percepite assai diversamente. Ha quindi ragione da vendere chi lamenta l’applicazione di due pesi e due misure nell’attenzione che sono state riservate dalle forze politiche, dall’opinione pubblica e soprattutto da alcuni organi di informazione al dissesto delle grandi cooperative di costruzioni da un lato e alle crisi che hanno colpito in questi anni, con diversi livelli di gravità, imprese come Mariella Burani, Fantuzzi-Reggiane, Montanari, Artoni, Landi e Fagioli dall’altro, solo per citare i casi più noti. Mi ha colpito molto leggere su un quotidiano locale le dichiarazioni di un manager di una grande impresa privata reggiana che, per motivare la decisione di operare una pesante ristrutturazione del personale in uno stabilimento e la chiusura di fatto di un altro stabilimento (che, il dettaglio non è di poco conto, non produceva perdite), ha addotto “la necessità di avvicinare la produzione ai mercati”. Questa affermazione non ha prodotto né commenti né significative reazioni, a parte quella delle organizzazioni sindacali. In generale, questi sono temi delicatissimi, che toccano, a volte in maniera drammatica, la carne viva delle persone. Perciò andrebbero sempre trattati senza mai buttare benzina sul fuoco del populismo.