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Innanzitutto che cosa si intende per attività medica d’equipe? Si intende quella attività posta in essere con la partecipazione e la collaborazione di diversi sanitari che eseguono un intervento in gruppo o applicano una terapia medica interagendo tra loro. L’équipe può operare nei confronti di un paziente sia contemporaneamente che in tempi diversi dell’iter di cura.
Quando dall’operato di un’équipe medica derivano dei danni al paziente che si è sottoposto alle cure o alle terapie, nascono numerose problematiche di carattere giuridico che si ripercuotono, soprattutto, sulla sussistenza e sugli eventuali esatti confini della responsabilità del singolo sanitario appartenente al gruppo. Infatti, l’équipe medica è costituita da professionisti che sono legati tra loro da rapporti gerarchici ed è proprio a seconda dei diversi ruoli svolti che i singoli medici possono assumere diverse responsabilità nei confronti del paziente.
In genere, la figura più a rischio è quella del capo équipe che, oltre a rispondere del proprio operato, assume anche una particolare posizione di garanzia nei confronti del paziente. Il capo équipe ha infatti il potere – dovere di assegnare compiti a ciascun componente del gruppo e, allo stesso tempo, ha anche il dovere di vigilare sull’operato di ognuno. Questo non significa che gli altri medici dell’équipe siano immuni da responsabilità. Anzi: anche questi possono essere chiamati a rispondere non solo per il loro diretto operato, ma anche laddove sia un altro medico dell’équipe a commettere un errore nel caso in cui lo stesso avvenga nell’ambito di obblighi comuni e condivisi. Si pensi ad esempio all’ipotesi in cui venga lasciata una garza nell’addome del paziente: di tale negligenza può essere chiamata a rispondere l’intera équipe medica.
Oltretutto, bisogna considerare che la posizione di un’assistente non può essere vista come quella di un mero esecutore di ordini. Il medico che si trova subordinato rispetto al capo équipe e ritenga che un determinato trattamento disposto dal superiore comporti un rischio per il paziente deve esprimere il proprio dissenso e segnalare le obiezioni che rientrano nelle proprie conoscenze. In caso contrario, potrà essere chiamato a rispondere dell’eventuale esito negativo del trattamento, per non aver impedito l’evento lesivo. Sussistono due principi: da un lato esiste il cosiddetto principio dell’affidamento in base al quale ciascun medico dovrebbe poter agire confidando nel fatto che gli altri componenti dell’équipe osservino le proprie regole di diligenza, dall’altro lato il principio di sorveglianza del capo equipe sui collaboratori. Sussistono alcune deroghe al principio di responsabilità personale per l’operato di ciascun medico appartenente all’equipe. A tal proposito segnalo un’interessante sentenza della Corte di cassazione, la numero 44830/2012 che ha decretato la responsabilità del capo-équipe, del direttore di reparto, del secondo chirurgo e dell’anestesista per la morte di un paziente avvenuta nella fase post-operatoria, in quanto gli stessi non avevano organizzato misure adeguate per fronteggiare eventuali rischi respiratori. La giurisprudenza ha in particolare affermato che “in presenza di un rischio grave, evidente e macroscopico, afferente le competenze professionali proprie di ciascun medico, rispondono tutti i componenti dell’equipe, a prescindere dalle specifiche competenze di ognuno”.