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koricaPiù del 20% del PIL nazionale è costituito da beni immobiliari di proprietà dello Stato e di enti locali, valutati oltre 400 miliardi di euro: una ricchezza straordinaria, che però non fornisce più funzionalità e utilità alla collettività, ma che, se adeguatamente valorizzata e gestita, può portare grandi benefici, sia economici che sociali. Sto parlando di quel processo che prende il nome di rigenerazione urbana; si tratta di una tendenza che prevede inevitabilmente un cambiamento di visione rispetto al passato: se dal dopoguerra le logiche produttive erano orientate prevalentemente a direzioni espansive e a un’edilizia sfrenata, lo sviluppo della città oggi dipende dalla capacità di reinventare l’uso degli spazi mettendo a sistema interessi e opportunità di diversa natura. Come a dire “da carta bianca, a carta già scritta”.
Non si tratta più di una materia rilevante solo per la pratica urbanistica, ma un progetto più complesso che richiede competenze e funzioni nuove e diverse, per creare, rigenerando, spazi pubblici, con lo sguardo rivolto soprattutto alle esigenze della domanda. Non solo urbanisti e architetti, quindi, ma anche esperti di marketing, economia, sociologia, finanza e studio del comportamento umano.
Penso sia una bella sfida per il futuro dell’intero Paese, una sfida da cogliere proprio ora, nel momento in cui a livello normativo, tutte le istituzioni si stanno già allineando in questa direzione. Una sfida, nel vero senso della parola, che richiede la risoluzione di alcuni potenziali ostacoli, come la presenza di fondi di investimenti e capitali, una rinnovata e diffusa coscienza della rigenerazione urbana e la nascita di soggetti privati capaci di dare la più completa consulenza in questo processo innovativo che è il futuro che ci aspetta.