Il tema del passaggio generazionale ha oramai assunto dimensioni tali da essere al centro di diversi tavoli di discussione.
In azienda le trame professionali s’intrecciano con quelle più prettamente famigliari, in cui fratelli, cugini, zii, mariti e mogli dei successori entrano in gioco con quel carico di vissuto emotivo che difficilmente sottostà alle rigide regole di un’azienda organizzata. Troppo velocemente si scarica sul malcapitato successore la responsabilità del difficile passaggio, imputandogli l’incapacità di sapersi assumere il ruolo di sostituto di chi, prima di lui, ha degnamente incarnato il ruolo di imprenditore, trascurando il fatto che attorno all’imprenditore c’è sempre una squadra che ne ha saputo compensare le sue mancanze.
In sostanza infatti è la squadra a determinare il successo dell’impresa, pertanto il passaggio generazionale non è solo una questione legata alla disponibilità della famiglia di organizzarsi in una nuova modalità relazionale o determinata delle qualità personali del successore, ma soprattutto alla capacità dell’azienda di costruire una squadra manageriale attorno ad esso, al fine di ricreare quella dinamica di gruppo che ha permesso al genitore di sviluppare la sua azienda. Per fare questo bisogna avere il coraggio di avviare un percorso che sia in grado di ricollocare le figure che hanno sempre avuto come riferimento il vecchio imprenditore (e che difficilmente accetteranno il suo sostituto), avvicendandole con un’equipe nuova che attinga dall’esperienza della vecchia guardia ma che accetti il nuovo leader senza le resistenze legate a un passato che non tornerà.
La questione sta nella sincronizzazione del vecchio col nuovo, dove l’esperienza si fonde con l’innovazione senza i freni legati dalle abitudini e si esonera chi ha lavorato per anni con un metodo dal doversi violentare per attenersi alle moderne forme di governance, potendo rimanere concentrati sul vero focus produttivo senza i vincoli del ruolo manageriale che vengono lasciati alla nuova squadra.