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In un mercato del lavoro come quello attuale caratterizzato, da una parte, dall’oggettiva difficoltà di reperimento dei profili specialistici più ricercati e, dall’altra, dalla conseguente aumentata concorrenza tra competitors non solo sul mercato a valle dei prodotti, ma anche a monte su quello del reperimento e reclutamento delle migliori figure professionali, diventa sempre più cruciale per i datori di lavoro implementare e migliorare le proprie politiche di retention delle risorse umane.
A tal fine, sono senz’altro adeguate politiche retributive e di welfare aziendale, volte a rendere sempre più appetibile e attrattivo il posto di lavoro presso il datore di lavoro.
Ma nei confronti di chi è già o entra alle dipendenze del datore di lavoro, assume rilievo determinante la previsione di adeguate clausole di non concorrenza post contrattuale con le quali si prevede – al momento dell’assunzione o anche in seguito – l’espresso divieto al lavoratore di occuparsi, al termine del suo rapporto con l’attuale datore di lavoro, presso un concorrente apportando a suo favore le skills e il know-how personali maturati in seno all’azienda in costanza di rapporto.
Affinché la clausola di non concorrenza post contrattuale sia valida ed efficace occorre rispettare il dettato di cui all’articolo 2125 del codice civile, che testualmente recita “Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata”.
Quindi, a pena di nullità, il patto di non concorrenza post contrattuale deve in primis risultare da atto scritto, quindi deve essere specificamente remunerato e infine essere contenuto in specifici limiti di oggetto (potrebbero essere gli stessi prodotti dell’ex datore di lavoro o prodotti similari, oppure determinati concorrenti dello stesso, oppure determinati settori merceologici e così via), di tempo (massimo 5 anni per i dirigenti e 3 per i dipendenti) e di luogo (una determinata area geografica nazionale, regionale, provinciale o ibrida).
Il patto di non concorrenza può riguardare l’intera platea dei lavoratori dell’azienda, indipendentemente da livelli di inquadramento e categoria legale e non necessariamente i lavoratori di livello più elevato. Inoltre, il patto può interessare qualsiasi attività che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi necessariamente limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto di lavoro.
Prossimamente approfondiremo il tema con un sguardo particolareggiato ai dettagli di questo tipo di accordo e alla parte economica.

di Stefano Angione