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Sono ormai passati 33 anni da quando venne caricato il primo dominio .com, ci pensate? Da quell’evento di paleontologia digitale la storia di Internet ha fatto passi da gigante, con innovazioni costanti e di enorme portata. Tuttavia possiamo individuare almeno cinque pietre miliari in questa breve ma intensa cavalcata.
La prima è sicuramente l’alba della Rete così come la conosciamo, che è un evento databile al 6 agosto 1991, quando al Cern venne lanciato il primo sito internet di tutti i tempi che agiva nel World Wide Web. Da innovazione pionieristica ad ambiente di fruizione commerciale il passo fu breve, e nel 1993 venne venduto il primo banner pubblicitario.
I tentativi sperimentali di fare marketing sul Web ci portano dritti alla seconda pietra miliare: il 1994, quando l’email diventa strumento di comunicazione di massa grazie all’irruzione su questo mercato di provider globali come Yahoo!, Aol e Hotmail. Contestualmente inizia anche l’era del marketing tramite email – ancora oggi uno degli strumenti più efficaci -, delle newsletter, ma anche dello spam. Lo stesso anno viene registrata la prima transazione online sul sito Netmarket: nasce l’e-commerce. Lo shopping online faticò qualche anno per rendersi credibile agli occhi degli acquirenti. Solo per fare un esempio, nel 1995 il primo oggetto mai venduto all’asta su eBay, un puntatore laser, venne restituito perché non funzionante. Al giorno d’oggi però il commercio online globale arriva a un valore di scambio di 2.400 trilioni di dollari.
La quarta pietra miliare è sicuramente la creazione del mercato del SEO (Search Engine Optimization) grazie all’esplosione di Google. Il concetto di marketing digitale precedente all’avvento del celebre motore di ricerca era piuttosto rudimentale ed si concludeva sostanzialmente in una trasposizione pedissequa delle soluzioni di marketing convenzionali su piattaforma digitale.
Infine, l’ultima pietra miliare può sicuramente essere considerata l’alba dei social network, databile intorno al 2002, tra la messa in opera del primo (e poco longevo) tentativo di SixDegrees.com nel 1997, e quella del futuro colosso creato da Mark Zuckerberg, The Facebook, creato nel 2004. In questo anno si sviluppavano social network di un certo successo quali Friendster e MySpace, poi soppiantati dall’esplosione di popolarità del Libro delle Facce. I social, oltre a mettere in comunicazione tra loro persone in tutto il mondo, hanno cambiato completamente il modo che le aziende hanno oggi di rapportarsi con il pubblico. Tuttavia hanno anche iniettato nel circuito del marketing online tonnellate di dati personali dei clienti – col loro consenso, e talvolta senza – che sono oggi uno dei carburanti essenziali dell’economia digitale.

Il marketing di oggi
E qui arriviamo al dunque. Digital marketing , di che si tratta? Possiamo considerarla un’espressione generica che comprende tutte le tecniche di marketing online, cioè l’uso che le aziende fanno dei canali digitali per connettersi con i loro clienti attuali e potenziali: ricerche su Google, social media, email e siti web aziendali. L’importanza di questo nuovo tipo di marketing deriva dal fatto che le persone trascorrono più del doppio del tempo connessi online rispetto a 15 anni fa. Secondo il report Global Digital 2018 di We Are Social infatti, il tempo medio giornaliero speso su Internet da qualsiasi dispositivo ammonta oggi a 6 ore e 8 minuti, di cui quasi 2 ore trascorse sui social media, 3 ore trascorse sui sistemi di visione video in streaming e on demand, e infine 45 minuti trascorsi all’ascolto di musica in streaming. A questi dati possiamo aggiungere che gli utenti Internet a livello globale oggi sono 4,021 miliardi su una popolazione mondiale di 7,593 miliardi. Il dato di fruizione è ovviamente sempre in crescita, e solo nel 2017 si è registrato l’accesso al Web per la prima volta di 250 milioni di persone, facilitati da una costante evoluzione del mercato dei device mobili con piani tariffari via via più accessibili. Allo stato delle cose infatti il 75% della popolazione mondiale possiede un cellulare e oltre la metà di questi sono smartphone.
Ecco cosa s’intende quando si dice che viviamo in mondo globalizzato, con analoghi effetti sull’economia e il commercio.
Il modo di comprare infatti è molto cambiato rispetto ad alcuni anni fa, per questo il marketing come lo si intendeva alcune decadi or sono non è più così efficace come un tempo. Il segreto del successo di un buon marketing è infatti quello di presentare un prodotto al posto giusto nel momento giusto. Per questo motivo oggi il business deve essere portato dove la gente trascorre la gran parte del proprio tempo: Internet, appunto.
Andare al passo con i tempi per le aziende non è una scelta, è una necessità. Oggi più della metà dei clienti giudicano il livello di credibilità di un’azienda dalla presenza (e dal tipo di presenza) online, per questo motivo oggi la questione non sta nella domanda “marketing digitale sì o marketing digitale no”. Piuttosto bisogna andare dritto a porsi altre questioni riguardanti il ritorno d’investimento (ROI): quale ritorno si è disposti a raggiungere? Quali obiettivi di fatturato ci si vuole dare? E in quanto tempo? E questo indipendentemente dal fatto che un’azienda sia rivolta ad un mercato B2C (business to consumer) che a uno B2B (business to business).

Outbound? Non più!

Il funnel del marketing

Avete mai sentito parlare di inbound marketing ? Molti lo assimilano al digital marketing tout court, anche se non è proprio così, perché è solo uno dei tanti tasselli che compongono il digital marketing.
Solo alcuni anni fa le persone avevano pochi canali a cui attingere informazioni per i propri acquisti, ed erano principalmente radio, tv e carta stampata, tutti canali facilmente dominabili dai brand già famosi e prestigiosi che avevano la possibilità di effettuare gli investimenti più consistenti. Le realtà industriali minori in questo modo erano praticamente tagliate fuori dal grande mercato, dovendosi accontentare di mercati di nicchia e sperando di uscire lentamente fuori verso panorami più larghi.
L’avvento del Web ha fatto sì che oggi sia il potenziale cliente a fare le proprie ricerche per effettuare l’acquisto, facendosi influenzare molto meno da messaggi pubblicitari muscolari come le campagne comunicative massive a cui eravamo abituati solo qualche anno fa. Oltre a ciò, il cliente, grazie alla facilità di interazione dei social network, si rende latore di pareri e consigli positivi o negativi in merito al proprio acquisto, facendo esso stesso pubblicità.
La vecchia comunicazione pubblicitaria era conosciuta come outbound marketing, la nuova invece è appunto l’inbound marketing, ossia l’attività di attrazione dell’interesse del potenziale cliente attraverso la creazione di contenuti che per lui sono di valore. Diventa pertanto fondamentale creare contenuti interessanti che possono assumere varie forme, come blog, account e pagine social, ebook, video, podcast o infografiche. In sostanza oggi anche una piccola azienda può emergere facilmente, a patto di saper creare interesse con buoni contenuti diffusi attraverso i nuovi canali online.
Tuttavia il digital marketing comprende diverse altre tecniche, dal SEO a tecniche outbound digitali come i banner sui siti web. Tutto però finalizzato ad ottenere risultati ben misurabili e interpretabili.

Digitale? Ci vuole… Testa!
Proprio la misurabilità del risultato è uno dei grandi vantaggi del marketing digitale. La grande mole di dati messi a disposizione dagli strumenti di misurazione e analisi oggi possono fornire indicazioni chiare sull’efficacia delle strategie e sui miglioramenti possibili. Per interpretarli nel modo giusto però servono professionalità esperte.
Per farci da guida nel mondo del digital marketing abbiamo voluto interpellare uno degli esperti italiani più affidabili, l’Evangelist e Top Contributor di Google AdWords Andrea Testa, a cui abbiamo fatto qualche domanda.

– Partiamo da un concetto essenziale: in che modo la matematica offre risultati nel digital marketing?
Interpretando i numeri in modo corretto. Il più grande problema da quando i risultati sono misurabili, deriva proprio dalla cattiva comprensione degli stessi. Qualcuno fa ancora confusione su assoluto e relativo, o ci marcia sopra. Quello che un’agenzia, un consulente o un interno dovrebbe fare, è leggere il numero per quello che rappresenta, e capire, sulla base delle percentuali di risultato, quali azioni è meglio amplificare e quali è opportuno annichilire. Qui un altro spunto: abbassare le pretese su un’area di intervento che non produce, non è un insuccesso, ma la consapevolezza che qualcosa non sta funzionando. Quindi fare quello che solitamente non si fa, cioè abbassare i costi dove non funziona e alzarli dove funziona. Le aziende di solito invece operano al contrario.

– Oggi esistono aziende o settori produttivi che si possono permettere di tralasciare il marketing digitale, o che magari non ne traggono particolare giovamento?
Non mi è ancora capitato. Ho lavorato con qualche migliaio di aziende di settori diversi e sempre si ottengono benefici. Questo perché chi mi ha contattato aveva ben in mente il proprio obiettivo. Buttarsi senza consapevolezza di cosa si sta per fare sarebbe sbagliato. Un po’ come alla fine degli anni ’90, quando le aziende investivano sui siti web “perché li avevano tutti”. Questo ha prodotto una pletora di pagine buttate a caso in rete.Oggi c’è più consapevolezza e con la consapevolezza si può costruire ovunque e bene.

– Aziende o brand affermati possono permettersi di non dover impegnarsi sul digital marketing, o parliamo di un fattore che rende la popolarità di un brand pericolosamente liquida?
E’ un po’ quanto detto prima sull’utilità del digital marketing. Ci sono aziende presuntuose che hanno pensato di allontanarsi dal digital, per poi correre ai ripari quando sui vari social network venivano aggredite. Se uno è presuntuoso, lo è sia nel digitale che nell’offline. Avrei diversi esempi da fare, ma diciamo che sorrido e me li porto con me.

– Una campagna di marketing digitale ben strutturata, in quanto tempo matura risultati quantificabili?
28 giorni. E’ il tempo che occorre per far capire alla piattaforma in machine learning, quali sono i percorsi che compie il cliente prima di arrivare all’obiettivo aziendale.

– Una perfetta strategia di digital marketing può arrivare a dettare (o prevedere) i livelli di produzione dell’azienda?
Se collegata all’offline assolutamente sì. O meglio, comprendendo in che modo legare tutte le azioni di marketing. Oggi – per fortuna – non esiste solo offline o solo online. Le varie campagne devono essere integrate per coprire tutto il funnel del marketing, l’imbuto, vale a dire il percorso che porta dalla consapevolezza dell’esistenza di un prodotto o azienda (che comprende un vasto pubblico), per poi arrivare all’acquisto dello stesso.

– Oggi qual è il senso di una campagna di marketing tradizionale, considerando un ipotetico bilancio fra costi e benefici?
Fase alta del funnel. Consapevolezza. Innesco sempre utile e produttivo. Chiaro che sono finiti i tempi nei quali una pagina su una rivista costava un tot al quadrato. Oggi ci sono costi diversi, equilibrati e fortunatamente drogati dai costi di campagna digitale.

– Il social marketing una volta era una strategia, ora è solo un canale. I social sono diventati solo un luogo da frequentare per dimostrare di esserci, o possono ancora davvero produrre valore?
Non sono d’accordissimo sul concetto di “una volta”. Diciamo che prima si vendevano post come arance: a peso. Oggi si è compreso che se si ha qualcosa da dire, è inutile aspettare una scadenza. Chi vende consulenza a “un post a settimana”, sta vendendo un servizio sbagliato. Se invece si pensa al social come a un alleato nella comunicazione o nel customer care, allora il valore è assicurabile.

– Quali sono i casi più frequenti che possono rendere inefficace una buona campagna digitale?
Uno su tutti e cioè investire meno di quanto venga richiesto. Torniamo ai numeri matematici. Se il calcolo dice che servono 10.000 euro e il cliente ne investe 5.000, si commettono due crimini. Il primo è quello di accettare la proposta, il secondo quello di non far capire al cliente che non otterrà la metà dei risultati, ma semplicemente non funzionerà niente.

– La privacy del consumatore è sempre più importante ma sempre più a rischio. Può il marketing digitale dimostrarsi deleterio sotto questo punto di vista?
Distopico pensare alla privacy come un nemico. E altrettanto sbagliato il modo col quale si costringe un utente ad accettare il trattamento dati. Se la pubblicità venisse fatta bene, sarebbe sempre e solo un beneficio. Ogni utente vedrebbe solo ciò che gli interessa. Purtroppo in materia c’è molta ignoranza ed è un tema delicato che mi sento di considerare come un muro contro muro. Mi spiego: se devo comprare qualcosa che mi serve o che mi piace, non vedo dove sia il problema se la pubblicità mi porta a spendere meglio e più velocemente.

– Esiste un digital marketing sommerso che punta a mettere in cattiva luce aziende concorrenti o i loro prodotti?
Purtroppo sì. E aggiungo che è una cosa sconclusionata. Spendere per infangare gli altri vuol dire non saper investire sulla propria credibilità. Ascoltatemi quando dico che è molto più facile spendere bene soldi per esaltare le proprie qualità, che investire nello screditare.
Il problema però è alla base della catena alimentare e vale a dire che le fake news sono ossigeno per i creduloni e gli sprovveduti. La rete è il palcoscenico ideale per le fandonie, perché è fatto di persone. Adoro usare il termine “educare” quando parlo del percorso di acquisizione di un cliente. E allora torno a dire: non è meglio educare su quanto bene facciamo il nostro lavoro, piuttosto che sul denigrare gli altri?

– Cosa vedi nel futuro del marketing digitale?
Spero il ritorno prepotente della comunicazione. I video e le stories spero ne siano l’incipit. Non può esistere marketing senza comunicazione e da questo punto di vista tantissime aziende sono ancora lontane.

La Fintech
Vale però la pena di soffermarsi anche sulla fase obiettivo del digital marketing, l’acquisto e quindi il pagamento. Impariamo a fare conoscenza col termine fintech (financial technology), perché lo risentiremo spesso in futuro. Si tratta semplicemente di tutto quel complesso di tecnologie che oggi ci permettono di pagare, chiedere un prestito, risparmiare, investire con app, carte contactless, portafogli elettronici, monete virtuali e social network. Oggi le imprese che operano nel settore fintech competono direttamente con le banche, che devono stare al passo in termini di velocità d’innovazione. Soprattutto i millennials (chi è nato tra i primi anni ’80 e la fine degli anni ’90) preferiscono servizi bancari rapidi e facili, che permettono di acquistare in modo immediato e sicuro. Magari anche con la possibilità di effettuare transazioni con monete virtuali basate su tecnologia Blockchain, quali Bitcoin o Ethereum. Chi vuole vendere online non potrà non chiedersi in che modo innovare anche nella formula dei pagamenti accettati, per facilitare al massimo gli acquisti. Le modalità innovative di pagamento digitale infatti, nel nostro paese hanno attualmente un mercato pari a 47 miliardi, ma si stima che il settore potrebbe raggiungere i 100 entro il 2020.
E del resto per vendere al meglio bisogna calarsi nei panni dell’acquirente, sempre in cerca di praticità, oltre alla convenienza e alla qualità. E poi magari guardare con più attenzione il proprio smartphone che – forse non ci facciamo abbastanza caso – oggi è il più grande centro commerciale del mondo.