Cos’è una città se non un agglomerato di persone che decidono di abitare una accanto all’altra per aiutarsi a migliorare la propria qualità di vita? E’ così dalla notte dei tempi, quando il primo embrione di cittadinanza dovette aiutarsi reciprocamente contro gli attacchi delle fiere selvatiche, poi costruendo fortezze e mura per difendersi dai propri simili appartenenti a nuclei sociali e urbani differenti. E oggi? Il nuovo obiettivo delle città per prendersi cura dei propri cittadini (e viceversa) è diventare smart, ossia intelligenti. E per farlo è indispensabile la tecnologia, molta. Ma soprattutto occorre la lungimiranza di chi queste città le vive e le amministra. E ce ne vuole moltissima, anche più della tecnologia.
Lo sviluppo urbano nel ventunesimo secolo ha avuto un cambio di paradigma. Le attività di ricerca nel campo delle attività per rendere le città più intelligenti e fruibili – in breve, smart – è diventata una priorità che vede la partecipazione di tutte le entità, da quelle politiche a quelle industriali, passando ovviamente da quelle scientifiche. Tuttavia, nonostante le tecnologie informatiche e di interscambio di comunicazioni siano avanzate in modo esponenziale, e moltissimi esempi di autentiche smart city siano sorti in tutto il mondo, il concetto vero e proprio di smart city è ancora in divenire.
Inferno e paradiso
Le Nazioni Unite stimano che dal numero attuale 2050 la popolazione avrà un incremento del 32%, passano dagli attuali 7,2 miliardi di abitanti a 9,7 miliardi. La popolazione urbana invece avrà una crescita del 63%, passando dagli attuali 3,9 a 6,3 miliardi di abitanti. La stima dice inoltre che entro il 2030 oltre il 60% della popolazione mondiale abiterà nelle città, che vedranno una particolare crescita in Africa, Asia e America Latina. Questa crescente richiesta di inurbamento avverrà assecondando il flusso migratorio che arriverà dalle aree rurali alla ricerca di migliori condizioni di vita. Nulla di nuovo nei meccanismi, simili a quelli che da sempre si registrano nella Storia. Sono tuttavia i numeri che cambiano. Vi sono stati periodi storici in cui le grandi città, capitali di regni vasti come continenti, accoglievano entro le proprie mura qualche decina di migliaia di abitanti. Nel 2050, secondo il ritmo dei flussi previsto dal rapporto dell’Onu le attuali megalopoli raggiungeranno dimensioni attualmente impensabili: in India Mumbai avrà 42 milioni di abitanti, Nuova Delhi ne accoglierà 36, Shangai arriverà a 21 milioni e così via. Accelerazioni spaventose se pensiamo che le prime metropoli a superare i 10 milioni di abitanti furono negli anni 70 New York e Tokyo, ma si trattava di città che possedevano già necessarie infrastrutture e risorse per soddisfare i bisogni dei propri cittadini. Le città (e soprattutto le megalopoli) del futuro pertanto si troveranno a fronteggiare situazioni di crescita drammatiche, con un aumento della popolazione che rischierà di non riuscire ad andare di pari passo alla realizzazione delle necessarie infrastrutture, pertanto con una competizione per cibo, acqua e risorse energetiche che potrà diventare molto problematica.
Quanto più il nostro pianeta diventerà urbanizzato, tanto più le città dovranno diventare smart, intelligenti, veloci, predittive, preparate. Diventerà una questione fondamentale, di sopravvivenza. L’estesa urbanizzazione richiederà nuovi metodi e innovative strategie di sviluppo per amministrare la complessità dei problemi della vita cittadina: sovrappopolazione, consumo energetico, gestione delle risorse, protezione ambientale e via dicendo.
Le città oggi occupano solo il 2% della superficie terrestre, accolgono tuttavia al proprio interno il 50% della popolazione mondiale, consumano il 75% del totale dell’energia generata e sono responsabili dell’80% delle emissioni responsabili dell’effetto serra. Questi sono i dati che ci spiegano perché la visione e la progettazione della città intelligente è la sfida del presente per conquistare un promettente futuro.
Smart City: una definizione
Il concetto di smart city è in continua evoluzione, probabilmente sin da quando l’urbanista inglese Ebenezer Howard definì, proprio nel suo libro “Garden cities of tomorrow” del 1898, il concetto di urbanistica come l’arte di “trasformare i sobborghi in quartieri capaci di fornire opportunità e comodità”, che era un fantasmagorico ideale balzo in avanti per una società che aveva subito i vertiginosi sovrappopolamenti urbani in seguito alla rivoluzione industriale.
Rispetto agli albori dell’urbanistica moderna, il lessico che descrive le caratteristiche delle città intelligenti del futuro è però stato rinnovato drasticamente negli ultimi decenni, soprattutto per l’esigenza di spiegare meglio il larghissimo numero di concetti promossi dagli stakeholders. La popolarità dei vari specifici termini è cambiato nel tempo, a seconda delle idee di volta in volta promosse da università, ambienti economici, entità politiche e comunità sociali. In questi anni infatti per definire le città del futuro si è parlato di ecocittà, città sostenibili, verdi, aperte, partecipative, integrate, inclusive, innovative, business-friendly… Decisamente tutti aspetti fondamentali, ma tutte sfaccettature di uno stesso diamante. Tra le varie efficaci definizioni di smart city possiamo riportare quella coniata durante lo Smart Cities Council 2014: “Una Smart City usa la tecnologia delle informazioni e delle comunicazioni per incentivare la sua vivibilità e sostenibilità, sia per quanto riguarda le attività sociali che economiche”. Ancora più esaustiva è la definizione che ne dà l’Ufficio Federale statunitense per le informazioni tecniche e scientifiche, il quale la definisce “una città capace di monitorare e integrare le condizioni di tutte le sue infrastrutture critiche – incluse le strade, i ponti, i tunnel, le ferrovie, le metropolitane, porti e aeroporti, comunicazioni, acqua, energia, i maggiori e più importanti edifici – in modo da ottimizzare le sue risorse, pianificare le proprie attività di manutenzione preventiva e monitorare gli aspetti della sicurezza mentre massimizza i servizi per i suoi cittadini”. L’idea dovrebbe essere ampiamente resa.
Agenda 2030
Oggi lo sviluppo delle città in ottica smart si sviluppa sempre più rapido, innescando una spirale virtuosa di competizione tra le città stesse. La direzione verso cui ci si muove è il panorama delineato da un documento chiamato Agenda 2030.
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’Onu. Il documento comprende 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) in un grande programma d’azione per un totale di 169 traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. Ad ogni modo gli Obiettivi per lo Sviluppo danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che li hanno preceduti, e rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni. Obiettivi comuni significa che essi riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità. Si tratta indubbiamente di una sfida che si pone a svariati livelli di difficoltà, da Paese a Paese, passando da una probabile riuscita del raggiungimento degli obiettivi, al traguardo puramente utopistico. Ad ogni modo una strada è tracciata, e su questa si muove lo sviluppo delle città intelligenti.
ICityRate 2017
E detto ciò, come si stanno muovendo le città italiane? Da diversi anni Fpa – il centro studi sull’innovazione della Pubblica Amministrazione – redige l’ICityRate, recentemente giunto all’edizione 2017. Dall’ultima indagine appare che Milano rimane al primo posto per il quarto anno consecutivo. Il poker di eccellenze che il capoluogo lombardo cala sul tavolo sono nei settori della crescita economica, ricerca e innovazione, nella mobilità sostenibile e nella trasformazione digitale. Nel 20% degli indicatori presi in considerazione la città del Duomo è prima, consolidando anche un ottimo posizionamento su due asset importanti per lo sviluppo urbano che la città sta affrontando, come un migliorato sviluppo degli strumenti di partecipazione amministrativa condivisa e l’innovazione sociale. Tuttavia le distanze di vantaggio sulle inseguitrici si è accorciato; questo perché all’indagine sono state aggiunti 42 nuovi indicatori che si sono andati ad aggiungere ai 72 già esistenti, in modo da giungere a una migliore ottica del raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030. Questi nuovi indicatori sono per la maggior parte interessati alla misurazioni dello sviluppo sociale e ambientale, e qui Milano non ha fatto una buona figura. Ad esempio nella classifica del consumo di suolo (97° piazzamento), in quella della qualità dell’aria (98°), nella gestione dei rifiuti urbani (52°) e soprattutto un 83° posto nella classifica della legalità e della sicurezza, da cui la metropoli lombarda sembra non riesca a schiodarsi.
In questo contesto è Bologna che rosicchia molta distanza alla capolista. Se nel 2016 infatti erano 50 i punti che distanziavano i due capoluoghi, quest’anno si sono ridotti a 2. Governance ed energia sono le due eccellenze della città felsinea, mentre onorevolissime seconde piazze arrivano nelle classifiche di occupazione e trasformazione digitale. In generale la posizione del capoluogo emiliano appare decisamente equilibrato in tutti gli indicatori, con l’unica eccezione di un 69° posto nella classifica delle politiche legate al suolo e alla vulnerabilità territoriale.
Sul gradino più basso del podio torna invece Firenze, che era stata scalzata lo scorso anno. Stavolta le politiche per il turismo sostenibile non sono stati gli unici squlli. Il capoluogo toscano ha brillato infatti anche per istruzione, crescita economica e occupazionale, politica ambientale, investimenti per la trasformazione digitale e l’innovazione del modello di governance della città. I punti deboli invece puntano l’indice su quelli che sembrano essere i problemi comuni alle altre città metropolitane, ossia qualità di acqua e aria, consumo di suolo e legalità.
Le tre prime della classe dell’ICityRate 2017 rappresentano quindi tre modi diversi, ma efficaci di rispondere a livello locale alle esigenze della cittadinanza e alle grandi sfide dello sviluppo urbano. Se Bologna punta a scegliere una strategia di equilibrio che tiene assime sia gli aspetti ambientali a quelli di innovazione, Milano è invece trainata dal suo dinamismo economico e dalla sua capacità di svecchiare servizi e processi decisionali, che la rende una città senza rivali come piattaforma di sviluppo economico per le imprese, ma la colloca in basso nella qualità ambientale. Anche Firenze sembra ben ancorata alle sue solide tradizioni di città a vocazione turistica, di cui si preoccupa sempre di più per la gestione e gli impatti sia sociali che ambientali. Ma nonostante questo è una città molto dinamica nell’affrontare in generale tutti i temi importanti dello sviluppo sostenibile.
Piccole, ma connesse
Il resto della classifica parla di un’Italia dove le città intelligenti si trovano in provincia, in cui i piccoli e medi centri vanno alla ricerca di uno sviluppo virtuoso, ciascuna secondo una propria vocazione originaria. La top ten dopo il podio prosegue infatti con Venezia al quarto posto, poi Trento, Bergamo, Torino, Ravenna, Parma e Modena. Bergamo e Trento in particolare sono le città in più forte accelerazione, la prima infatti si è conquistata un sesto posto scalando in un anno cinque posizioni, mentre Trento è salita al quinto dall’ottavo del 2016. A trainare il successo del capoluogo trentino ci sono ben 15 eccellenze, con determinanti successi nella gestione dei rifiuti urbani e importanti piazzamenti nelle classifiche del turismo e cultura, e delle politiche di contrasto alla povertà. Il successo di Bergamo invece arriva dalla strada della crescita economica e delle politiche di ricerca e innovazione, che la vedono terza.
Da registrare un complessivo ottimo successo delle piccole città emiliano-romagnole, col trio Ravenna, Parma, Modena nella top ten a tenere compagnia alla medaglia d’argento Bologna. In più c’è da considerare anche l’escalation di Reggio Emilia che preme in undicesima posizione. Un successo che premia una scelta di crescita sostenibile e inclusiva, portata avanti in una logica di consivisione e di collaborazione con tutti gli stakeholders sul territorio, e che anno dopo anno diventa sempre più solida creando una sorta di marchio di fabbrica regionale.
Ma veniamo alle dolenti note.
Intelligenti, ma non si applicano
Innanzitutto, che fine ha fatto Roma? Lontana dalle posizioni che contano, ancora una volta: diciassettesimo posto. C’è però di buono che avanza di quattro posizioni rispetto alla classifica dell’anno precedente. Questo grazie ai valori registrati nei settori della trasformazione digitale, come la diffusione della banda larga e ultralarga, open data, utilizzo dei social, servizi on line che la fanno arrivare al terzo posto nella classifica di settore. Regge con un onorevole quinto posto nella classifica del settore cultura e turismo, ma poi il buio: i valori negli altri settori rimangono di forte arretratezza, anche nei settori che dovrebbero caratterizzare l’eccellenza di una metropoli a vocazione internazionale, come la mobilità sostenibile (33°) o la governance (37°).
Ma c’è di peggio: il Sud. Per vedere la prima città meridionale in classifica dobbiamo aspettare il 47° posto di Cagliari. La prima città pugliese è Bari al 68° posto, la prima campana è Salerno al 79°, la prima siciliana è Siracusa all’84°. Il problema sta nel fatto che i valori di queste città rimangono bassi in tutti i settori, persino in quelli dove, naturalmente, potrebbero ottenere buoni risultati, come quelle di turismo e cultura e le classifiche ambientali. Continua invece a non esserci storia nei settori di economia, innovazione e welfare.
C’è però da dire che degli sforzi si notano, ma si tratta di sforzi isolati, oltreché isolani. Si parla infatti della Sardegna: Cagliari ha guadagnato quest’anno sette posizioni in classifica, e Sassari e Oristano emergono nella mini-classifica delle prime 15 città del Sud, a riprova che nell’isola c’è comunque un tangibile percorso di rilancio in corso.
Gli obiettivi dell’Agenda 2030 rimangono lì, chi li vede come un obiettivo raggiungibile, chi come una chimera fuori dalla propria portata. Tuttavia, nonostante tutti i ritardi che si possono osservare nel sistema delle città italiane, dentro l’anima delle nostre città si annidano i problemi, ma nel tessuto sociale ed economico delle città stesse si sviluppano contemporaneamente anche competenze e stimoli per poterli risolvere. Talvolta basterebbe solo anche non ignorarli.