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Un’eredità da trovare

Di 24/12/2012Marzo 15th, 2023No Comments

Pur essendo giovane mi scopro a chiedermi cosa vorrei che rimanesse di me quando non ci sarò più. Mi chiedo a chi insegnerò competenze e consapevolezze maturate con l’esperienza, e se il mio studio professionale mi sopravviverà. La stessa domanda certamente se la pongono molti imprenditori auspicando che la propria azienda abbia un posto nella storia, o anche più semplicemente una prosecuzione con i propri discendenti. D’altra parte, in questi anni ho sentito spesso argomentare il desiderio di cambiare posto di lavoro con ragionamenti del tipo: «Il presidente della società in cui sono impiegato attualmente non ha successori e quindi la sopravvivenza aziendale è in pericolo». Perché è chiaro che la vita di una società oltre il suo fondatore è un pensiero non solo per quest’ultimo, ma per tutti coloro che gravitano attorno. In questo contesto, due sono le situazioni ideal-tipiche che possono rappresentare ostacoli a un fluido passaggio di testimone.

1_ Il fondatore ritiene di non avere persone adatte a cui affidare la guida della sua azienda. Uno dei rischi che si corrono con l’attività imprenditoriale è proprio quello di non preoccuparsi di coltivare un leader. Posto che un leader deve avere naturale spirito di sacrificio, un sano egoismo e capacità produttiva, deve anche essere un punto di riferimento costante che si forma nella quotidianità aziendale. Spesso il fondatore ricerca naturalmente questa figura nella propria progenie, ritenendo logica la scelta familiare, ma in realtà questa non è necessariamente la scelta migliore: l’imprenditore può essere un perfetto uomo d’affari, un grande leader ma non è detto che sia un grande padre; senza contare poi che si deve considerare anche la volontà dei figli così chiamati in causa, che potrebbe essere distante dall’azienda di famiglia.

2_ Il fondatore è il cuore dell’impresa e vuole rimanerlo, per orgoglio. Questa è una condizione che spesso si somma a quella appena discussa, rendendo ancora più arduo il passaggio generazionale. A meno di una consapevole decisione dell’imprenditore di chiudere la società, il narcisismo egoistico non aiuta la sopravvivenza dell’azienda.

Quale sarebbe quindi il percorso ideale? Fondamentale è la pianificazione, sia per quel che concerne la costruzione di un leader, se si presenta la materia prima, sia per quel che riguarda le resistenze provocate da un eccessivo accentramento di poteri da parte dell’imprenditore. Come sempre, giocare d’anticipo è l’arma vincente.

C’è un detto – un po’ cinico – che rende bene l’idea: l’imprenditore prende coscienza del problema del passaggio generazionale al primo infarto. In un’analisi della vita aziendale ci si limita spesso all’approfondimento tecnico ed economico ignorando gli aspetti più profondamente umani. Si fatica cioè a cogliere la complessità di questa fase cruciale e delicatissima del ciclo di vita di un’impresa. Serve, in questo senso, un approccio capace di riconoscere e decifrare i difficili intrecci relazionali ed emotivi che costituiscono la trama dell’impresa che non è solo una macchina economica, ma è meglio intesa come un organismo vivente in cui ruoli aziendali e quote societarie s’intrecciano inestrinsecabilmente con i legami di parentela e amicizia.