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Oggi andiamo un po’ controcorrente e scriviamo ai collaboratori. L’argomento è la loro relazione con il capo, in particolare in quei momenti in cui egli presenta nuove idee, nuove strade da percorrere o nuove strategie da implementare. Spesso mi capita di parlare con collaboratori che criticano le decisione del capo quasi a prescindere, e con capi demoralizzati dal fatto che hanno la sensazione di predicare nel deserto. E se invece il capo avesse ragione? Proviamo a vedere la cosa da un altro punto di vista, entrando in una logica di presunzione di correttezza.
Ormai da tempo sottolineiamo con forza che ogni individuo, per esprimere il massimo del proprio potenziale in area professionale (e non solo), ha bisogno di percepire fiducia in ciò che può fare, coinvolgimento nel gruppo e riconoscimento dei risultati conseguiti. È un po’ come se ognuno inconsapevolmente dichiarasse: “Se hai fiducia, mi coinvolgi e mi dai riconoscimento per le cose positive che svolgo, sarò il collaboratore del secolo”.
Ma perché questo atteggiamento difficilmente viene praticato nella reciprocità con il capo? Non è forse anche il capo un essere umano? Quante volte capita che i collaboratori riservino al capo gli stessi atteggiamenti che pretendono da lui? Nella mia esperienza, molto di rado. Si fidano? Lo aiutano? Credono in lui? Accolgono in modo costruttivo e con entusiasmo nuove idee e nuove strategie? Riescono a dire al capo cose che non sa già? Riconoscono al capo ciò che fa di positivo?
Parafrasando una citazione di Franz Bettger potremmo dire: “se volete che il capo abbia fiducia in voi, abbiate fiducia in lui”. Non so quanto sia utile per il gruppo una continua focalizzazione su ciò che il capo sbaglia e una quasi totale indifferenza verso ciò che il capo fa bene. So quanto possa essere difficile, ma sarebbe bello che i collaboratori entrassero in logica di tifosi del proprio capo. Il capo dovrà sempre decidere da solo perché è parte del suo ruolo ma sentire un po’ di calore intorno, un po’ di sostegno, e un po’ di fiducia è come per un centravanti sentire il calore dei tifosi anche quando sbaglia e, soprattutto, anche quando non fa gol per qualche partita.
Credo fermamente che la qualità della relazione capo-collaboratore dipenda da entrambi, nella stessa misura, mentre spesso sento collaboratori che assegnano al capo la responsabilità di una relazione professionale non soddisfacente. Non è così, carissimi: siete responsabili della qualità della relazione con il vostro capo almeno quanto lui. Qualcuno dirà che ci sono capi che fanno di tutto per non essere amati, ed è probabile che in molti casi sia vero, ma se ogni volta che il capo apre bocca riceve critiche e diffidenza, allora è difficile che sia nelle condizioni ideali per avere fiducia nel suo gruppo.
Chiudo suggerendovi un compito a casa, che è anche una bella provocazione: abbiate fiducia nel vostro capo, coinvolgetelo, ringraziatelo e riconoscete i suoi meriti, perché è vostra responsabilità farlo, a maggior ragione in periodi complessi. Se per un miliardo di motivi, personali o professionali non riuscite a farlo, abbiate il coraggio di andarvene, perché le aziende non usciranno dalle difficoltà se restano zavorrate da collaboratori che aspettano le decisioni dei capi solo per poterle criticare e per poter dare il via al festival dell’alibi.