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Res clamat ad dominum: la cosa richiama il padrone, ogni atto dice qualcosa di colui che l’ha agito. E questo vale anche per le bucce di banana dell’auto-sabotaggio inconscio, sulle quali è davvero facile scivolare. Sarebbe importante per ciascuno di noi conoscerle e ri-conoscerle così da poter in qualche modo arginare la parte meno sana di noi stessi. Il professor Meneghetti, in un’intervista riportata su Nuova Ontopsicologia, offre in questa direzione spunti interessanti.

Una tra le più comuni bucce di banana è quella che il professore chiama teatro delle apparenze nei confronti di amici, parenti e clienti. Si compra una macchina, un certo tipo di guardaroba, oppure ci si concede un certo tipo di vacanza al fine di comunicare un significato specifico: “io ho parecchi soldi, che sono indice del mio successo, e tu puoi fidarti”. Il problema è che in questa direzione è facile fare il cosiddetto passo più lungo della gamba, offrendo un’immagine di sé non reale che poi deve essere mantenuta. C’è da sottolineare, inoltre, che un individuo che ostenta agio e ricchezza genera diffidenza intorno a sé e tende a essere allontanato. Si rischia quindi di perdere, più che guadagnare, la credibilità. Il ricco vero non ha bisogno di mettere in mostra ciò che possiede, non necessita di confermare se stesso attraverso il giudizio altrui: possiede in silenzio.
Un’altra interessante trappola dell’auto-sabotaggio è la sottovalutazione delle tasse: il professor Meneghetti la ritiene precisamente “l’inizio di una disgrazia economica”. Nella mia esperienza di psicologa ho incontrato diversi imprenditori e ricordo la frase di uno di loro, in particolare: «Io ho un’amante pretenziosa, lo Stato». Significativo, non vi pare? E’ chiaro che quando si intraprende un business si deve mettere in conto che lo Stato sarà costantemente presente per riscuotere la sua percentuale di interesse. A tal proposito Meneghetti è lapidario: “Tutti coloro i quali hanno una mentalità per cui lo Stato è secondario nel progetto che stanno operando, già si pongono in perdita”.
C’è poi la buccia di banana del modo in cui si trattano i clienti. Soprattutto nel settore dei servizi (ristorazione, vendita al dettaglio, servizi alla persona, etc) bisogna letterelmente servire il cliente. Paradossalmente accade invece spesso che il titolare di queste attività costruisca la propria autostima sul sentirsi riverito, servito e ammirato dal cliente stesso. Ancora una volta Meneghetti è illuminante: “Egli compie un’operazione economica per ricevere rispetto, obbedienza, al fine di far riconoscere che lui è superiore. È un errore contro la sana economia e manca d’intelligenza di servizio: chi vuole fare i soldi deve saper servire. L’affare si fa sempre in due”.
Infine, c’è quella che possiamo chiamare incuria dei beni e mezzi realizzati: l’imprenditore crea qualcosa, poi però si focalizza su un altro progetto lasciando andare in rovina quello che aveva già costruito. Come formatrice in azienda ho affrontato diverse situazioni di questo tipo: euforia per i nuovi progetti e superficialità, o addirittura negligenza, nei confronti delle attività già in essere. è come se la persona necessitasse di rinascere costantemente, non apprezzando fino in fondo quello che ha già fatto. L’imprenditore, per sentirsi tale, ha bisogno dell’idea innovativa e teme di non esserlo nel momento in cui semplicemente si prende cura della sua impresa. Un atteggiamento saggio nei confronti della ricchezza è invece proprio quello di prendersi cura di quello che c’è: nella misura in cui lo si cura, infatti, lo si usa al meglio, e qualora si decidesse di venderlo lo si potrà fare ottenendo il massimo.