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La prima cosa che colpisce un europeo all’esplorazione dell’Asia è la limitata disponibilità di spazio vitale. Secondo una statistica stilata da citymayor.com nel 2007, un km2 di Mumbai ospitava quasi 30.000 persone, mentre a Berlino, Roma e Milano a spartirsi il km2 erano solo in 3.000. Tassi di densità di questo genere hanno un’inevitabile conseguenza: solo pochi privilegiati possono averlo, l’hamburger, “a modo loro”. Le preferenze di tutti gli altri sono purtroppo destinate a rimanere disattese.
Un viaggio nella densissima India rende concreti e tangibili i problemi fantasma che infestano i giornali europei: depauperamento delle risorse, scarsità di cibo e acqua, inquinamento ambientale e acustico. A Delhi, la capitale, una fornitura di elettricità continua non può essere data per scontata (nemmeno negli uffici); tanto meno l’acqua corrente. The Indian Express si scandalizza: in data 5 marzo dieci delle maggiori centrali elettriche in funzione disponevano di una riserva di carbone inferiore a un giorno. E il prezzo del carburante continua a salire, anche se calmierato da incentivi statali: 70 rupie per la benzina (circa 1,07 €), 40 per il diesel.

Nonostante per le strade della Delhi bene sia frequente vedere ancora in uso un ferro da stiro a braci di carbone che neanche le nostre nonne usano più (sono i cosiddetti istri wala, i ragazzi del bucato, che ritirano i vestiti e li stirano su tavole ai margini delle strade), l’avvento del consumismo comincia a farsi sentire: secondo i dati dell’ultimo, censimento, il 63% delle famiglie indiane si serve di una linea telefonica, mentre il 53% è in possesso di un telefono cellulare (peccato che solo il 46% delle case indiane disponga di un bagno).
Il mondo guarda alle economie emergenti con il fiato sospeso: cosa accadrà quando tutte quelle bocche da sfamare si sentiranno legittimate a pensare all’americana?

In società come la nostra tutto ruota intorno all’io. Nella maggior parte dei casi, le scelte economiche degli individui sono finalizzate a esprimere, attraverso le cose, la loro diversità e unicità. Come se le cose che possediamo parlassero una propria lingua e precedessero il nostro arrivo con il loro messaggio: “io sono io e sono diverso”. La felicità, ci insegna il consumismo, consiste nell’affermare la propria identità in contrapposizione alla massa. E inutile dire che questo tentativo di differenziazione comporta un notevole impiego (e spreco) di risorse. Una fascinazione cui non è immune neanche Madre Natura: si pensi al pavone, a quale impiego di colori e forme fa per emergere dalla massa dei suoi simili e assicurarsi una degna discendenza.

Naturalmente ci auguriamo che in India arrivi presto il momento in cui l’individuo faccia la differenza. Non solo: in cui all’individuo sia data la possibilità di fare la differenza. Magari, però, senza pensare che l’unico mezzo per farlo sia attraverso il possesso di cose. Questo sì che sarebbe un bel progresso.
* Same same but different è un’espressione popolare in Thailandia utilizzata soprattutto quando si vuole vendere qualcosa: “Is this a real Rolex?”, “Yes Sir, same same but different”.

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