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In questo numero ci siamo occupati dell’autenticità – ma anche un pochino meno… Ci siamo occupati di cose che hanno valore perché autentiche.

Così, abbiamo avuto le prove che quando l’autenticità è legata a un marchio intrecciato ai nostri desideri, facciamo cose che “voi umani non vi sareste mai immaginati”, come spedire una borsa di Hermès alla Spa, per darle una seconda giovinezza. Ma abbiamo anche scoperto di poter predicare l’autenticità di enti insospettabili (come un palombo o la polvere di zafferano), grazie a una straordinaria tecnica di laboratorio, che consente di distinguere ogni individuo vivente come fosse provvisto di un codice a barre (e anche la salute ringrazia). Pure, abbiamo incontrato Mario Sassi, che di professione riproduce i pezzi di ricambio originali per Ducati d’epoca (e alla Ducati non solo lo sanno, ma gli affidano commissioni quando qualcuno richiede pezzi fuori produzione); e abbiamo intervistato l’inventore della scheda elettronica open source Arduino, che deve la sua eccezionalità proprio al fatto che le sue copie sono autentiche esattamente come l’originale (e forse anche un po’ di più).

Confesserò che, ingenuamente, pensavo che l’autenticità delle cose fosse meno problematica di quella delle persone.

Invece, anche le cose, autentiche non ci nascono. In che senso? In un senso che non saprei esprimere meglio di quanto abbia fatto un corrosivo monologo della storia del cinema*: “Oltre che gradevole sono molto autentica: guardate che corpo, tutto fatto su misura! […] E in questa cosa non si deve essere tirchi, perchè una è più autentica quanto più assomiglia all’idea che ha sognato di se stessa”. Ecco, autentici si diventa. E vale tanto per noi, quanto per le cose che facciamo.

PS Dato che eravamo in tema di idee e divenire, abbiamo “rivisto la rivista”: nuova grafica, nuova struttura, nuove collaborazioni… Ci auguriamo di offrirvi una “nuova” buona lettura, con “lo sguardo lucido e ostinato” di sempre.

*”Tutto su mia madre” (1999), Pedro Almodóvar