Skip to main content

“Esistono due valori cruciali senza i quali una vita umana soddisfacente è inconcepibile. Si tratta di libertà e sicurezza. Essi sono entrambi necessari ma difficili da conciliare; si completano ma, allo stesso tempo, si limitano reciprocamente”. Queste parole del sociologo Zygmunt Bauman sembrano cogliere appieno lo smarrimento del cittadino contemporaneo che, di fronte all’impeccabilità della macchina urbana, si ritrova paradossalmente a soffrire la mancanza di uno spazio vitale non codificato. No, non stiamo parlando dei bocconcini di verde ai quali le città concedono un posto nella pianificazione del territorio urbano, ma del primitivo desiderio di evasione in una natura incontaminata. Al quale tuttavia non mancano le prime risposte.

A cominciare da New York, dove la comunità no profit Friends of the High Line è riuscita, con il supporto dell’amministrazione locale, a sottrarre al cemento un’area urbana inutilizzata e a riconvertirla in uno spazio incolto. Il progetto che ha per oggetto due chilometri e mezzo di tratta ferroviaria sopraelevata nel quartiere di Manhattan, è mirato a preservare l’area urbana così come modificata nel tempo dall’uomo e a fare in modo che la natura si riappropri gradualmente della porzione di territorio sottrattole nel lontano 1929. Da giugno i cittadini newyorkesi possono finalmente compiacersi della vista, inconsueta per una metropoli all’avanguardia, di una natura lasciata libera di correre sui binari.

Che la Grande Mela si sia lasciata ispirare dal libro The world without us, in cui il giornalista statunitense Alan Weisman descrive la trasformazione dello spazio civilizzato per opera della natura in assenza dell’uomo? Certo lo ha fatto il regista teatrale Tobias Rausch, di Francoforte sul Meno, che insieme alla compagnia teatrale Schauspiel Hannover ha deciso di portare in scena un progetto artistico inconsueto, in cui la natura assume il ruolo di protagonista: Die Welt ohne uns – Botanisches Langzeittheather (Il mondo senza di noi) conduce il pubblico, nell’arco del quinquennio 2010-2015, in una rappresentazione visionaria e futuristica della riscossa delle piante dopo la scomparsa del genere umano, invocando una riflessione su vari aspetti della convivenza tra uomo e natura. In quanto all’ambientazione la compagnia non è di certo uscita dal seminato (si fa per dire…): le rovine di una vecchia caserma alla periferia di Hannover.

C’è bisogno che l’uomo scompaia per riportare un po’ di selvaggio nelle nostre città? Berlino ci viene in tranquillizzante soccorso. Nell’ambito dell’iniziativa Holywood, che ha accompagnato l’edizione 2010 della Berlinale, un’imponente installazione luminosa ha richiamato l’attenzione sulla formazione boschiva del Tiergarten, il grande polmone verde della città: nel pieno centro cittadino 210 ettari di boschi e radure costituiscono l’habitat di una settantina di specie di uccelli e una ventina di altri tipi di animali, tra cui scoiattoli, volpi e orsetti lavatori. Il nome Holywood (in inglese ‘bosco sacro’) rievoca una dimensione sacrale e religiosa del bosco, in cui l’uomo può smarrirsi, ma anche ritrovarsi in un contesto più intimo, non civilizzato e quindi incorrotto, incontaminato, estraneo alle convenzioni sociali di cui sono impregnate le nostre città. Chè, come scrisse Michelangelo, “sol nè boschi è pace”. Conclusione cui giunse anche il pioniere della bioarchitettura Friedensreich Hundertwasser. Le mirabili soluzioni architettoniche dell’architetto austriaco, che inglobano gli alberi negli edifici e lasciano libero sfogo alle piante sulle superfici esterne e sui tetti, ci rassicurano: non dovremo aspettare la fine dell’umanità per vedere le nostre case ricoperte di vegetazione.