di Anna Salami
La crisi dei mercati internazionali ha messo a dura prova nell’ultimo anno una regione fortemente vocata all’export come l’Emilia Romagna. Per un rilancio si profilano ora nuovi scenari geo-economici – in Oriente, ma non solo – che presentano grandi possibilità, ma anche problematiche su cui riflettere e intervenire. Nell’infausto 2009, che già oggi viene ricordato come il peggiore anno della crisi, l’Emilia Romagna ha registrato una diminuzione delle esportazioni pari al – 23%: se nel 2008 il valore dell’export ammontava a 47,5 miliardi di euro, nell’anno successivo il dato è sceso drasticamente a 36,4 miliardi di euro.
A gennaio 2010 la flessione è proseguita, con una diminuzione del 6,3% delle esportazioni rispetto allo stesso mese del 2009. In questa situazione di forte difficoltà, i principali mercati dell’Emilia Romagna, terza regione italiana per valore delle esportazioni (12% del totale nazionale), continuano a rimanere localizzati in Occidente, ovvero, in Paesi nei quali la crisi ha maggiormente fatto sentire il suo peso. Nel 2009 il primo mercato della regione si è confermato essere l’Unione Europea, che ha assorbito il 56% delle esportazioni, il secondo gli USA con il 20% della quota export totale. Verso i paesi extra-europei emergenti – i meglio noti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) i cui tassi di crescita sono motivo di entusiasmo per economisti e investitori – è stato indirizzato, invece, “soltanto” il 7,5%. Dati sui quali si deve ancora lavorare e dai quali è necessario partire per elaborare nuove strategie: su quali mercati è necessario (ri)orientarsi per rilanciare l’export?
Secondo Medardo Landi presidente di Apiexport, consorzio di imprese associate ad Confapi Pmi di Reggio Emilia nato nel 1991, “ci sono Paesi abbastanza vicini a noi, quali i Balcani e il Nord Africa, che sono fortemente in crescita e nei quali le nostre aziende, anche quelle di piccole dimensioni, hanno molto da fare. Anche il Medio Oriente ed alcune Repubbliche ex sovietiche possono essere ottimi bacini per le merci emiliano-romagnole. Ci sono, poi, i Paesi emergenti (Brasile, Russia, India e Cina) considerati più interessanti perché sappiamo da tempo essere economie in forte crescita, ma anche più difficili da approcciare per chi si affaccia per la prima volta sui mercati esteri”.
Dimostrando lungimiranza, proprio sui mercati extraeuropei ha concentrato il proprio impegno, sin dall’inizio della sua attività nel 2002, lo Sportello regionale per l’internazionalizzazione delle imprese – Sprint. Come ci spiega il responsabile Ruben Sacerdoti “in questi anni abbiamo focalizzato buona parte dei nostri interventi proprio su paesi di prossimità, ovvero Balcani, Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, e su Paesi come Israele, Egitto, Marocco, Libano e, da quest’anno, anche Libia”. Se è vero che i mercati più vicini sono particolarmente interessanti per le imprese emiliano-romagnole, perché più accessibili alle realtà di piccole e medie dimensioni, l’obiettivo principale rimane tuttavia lo sviluppo della presenza su mercati con potenziale di crescita maggiore. “Oltre che in Paesi come il Sudafrica e il Vietnam, un grosso lavoro è stato fatto nei paesi BRIC, più lontani geograficamente e culturalmente, ma con più grande potenziale – continua Sacerdoti. E’ proprio su questi paesi che sono state concentrate la maggior parte delle risorse e si vuole continuare a investire attraverso le iniziative di diplomazia economica – che hanno già visto la Regione a fianco delle imprese nello stipulare accordi istituzionali – interventi in forme aggregate come l’istituzione di consorzi export e l’istituzione di bandi riservati ai singoli paesi, che stanno già avendo un buon riscontro”.
Ma sulla strada verso i mercati più lontani, quali sono le difficoltà con cui si trova a dover fare i conti l’imprenditoria emiliano-romagnola? Accanto alla limitata disponibilità di risorse propria delle aziende di dimensioni medio-piccole – che comprendono anche le risorse manageriali adeguate, capaci di interagire e operare nei contesti specifici – un limite è spesso dato dalla scarsa conoscenza dei mercati in questione, a cui si aggiunge la distanza che, anche in tempi di grande mobilità, costituisce un elemento molto ‘costoso’ in termini organizzativo-logistici.
Prendendo a riferimento i settori meccanica e automotive, fiori all’occhiello dell’export della nostra regione, il responsabile di Sprint fa notare che “la vendita di macchinari richiede ovviamente anche la capacità di fornire assistenza tecnica postvendita, un elemento che crea non pochi problemi quando tra la casa madre e cliente corrono migliaia di chilometri. Questo è un punto importante sul quale dobbiamo lavorare per poter essere concorrenziali. Preferibile alla soluzione di mandare in missione un ingegnere dall’Europa ogni volta che si presenta un guasto, sarebbe organizzare un sistema di assistenza in loco, o informatizzare il processo di assistenza tecnica per poterlo realizzare a distanza. In entrambi i casi lo sviluppo di tali progetti non può essere affrontato da una impresa singolarmente. A mio avviso, la soluzione potrebbe essere la creazione di centri servizi, capaci di fornire alle imprese iscritte consulenza e supporto nello sviluppare una rete di assistenza adeguata”.
Un progetto di questo tipo richiede, infatti, il confronto con diverse opportunità – aprire filiali o creare una rete di subfornitori – e con le relative problematiche – quali il controllo dei subfornitori, il controllo della qualità. I centri servizi in questo caso potrebbero garantire all’azienda il controllo dei subfornitori e della qualità. Un altro elemento da tenere in considerazione nel valutare la presenza sui nuovi mercati è inoltre quello della concorrenza. Medardo Landi sottolinea come “la concorrenza nei Paesi BRIC è potenzialmente grande e per riuscire a competere in contesti così nuovi e difficili è importante essere sostenuti dalle istituzioni”, mentre Sacerdoti aggiunge che “se è vero che al momento la domanda è ancora molto alta e non si pongono nell’immediato problemi di competizione serrata, sicuramente si porranno però in futuro, dal momento che anche i paesi BRIC non continueranno a crescere per sempre. Bisogna quindi attrezzarsi sin da ora”.
Un punto di debolezza con il quale si troveranno a fare i conti, ad esempio, gli altri settori trainanti dell’export emiliano romagnolo, moda e agro-alimentare, è l’assenza di grandi catene distributive italiane all’estero alle quali potersi appoggiare per diffondere prodotti di qualità Made in Italy e la probabile necessità di dover ricorrere a distributori stranieri. In attesa del confronto con le sfide future, le strategie di oggi per affrontare i nuovi mercati puntano in modo particolare sulle “iniziative di sistema” nelle quali si vuole continuare ad investire. Una tendenza sposata chiaramente anche dal consorzio Apiexport. “Vogliamo lavorare per convincere le aziende ad agire in gruppo – conferma Landi – a programmare e realizzare iniziative comuni, a presentarsi come soggetti unici capaci di fornire impianti e soluzioni “chiavi in mano”. Fare sistema, unire gli sforzi tra imprese diverse, oltre che a far risparmiare denaro, permette di fornire risposte esaurienti a chi ha bisogni complessi”. Come per tutte le grandi sfide, anche in questo caso, dunque, l’unione fa la forza.