di Agnese Spinelli
Come nasce una notizia? Dalla scelta di un giornalista che decide di riportare un fatto che reputa interessante per il proprio pubblico. La notizia è quindi “soggettiva”, ma mai “selvaggia”. Al di là delle opportunità (voglio pubblicare o no?) il giornalista si interroga anche sulla possibilità (posso pubblicare o no?). La questione, non è una novità, è assai complessa. L’articolo 21 della Costituzione Italiana che tutela la libertà di espressione, e quindi riguarda il diritto di cronaca, è oggi esso stesso notizia di spicco. La libertà di espressione è in pericolo? O è la privacy ad esserlo?
Mentre scrivo non sono ancora chiari i contorni di quella che è stata battezzata Legge Bavaglio. Ma è chiaro che multare chi diffonde una notizia a monte, senza verificarne l’impatto, il peso e i modi, è sbagliato. E’, a tutti gli effetti, un bavaglio: impedisce di parlare a prescindere, senza valutare cosa l’imbavagliato sta comunicando. D’altra parte è scorretto pubblicare qualsiasi cosa, “frugando nel pattume e rimestando nel sordido” (Indro Montanelli, 1974). Il problema dovrebbe risolversi tutto nella coscienza del giornalista. Ma se in determinati contesti la scelta corretta è quella di non pubblicare, basta spostare leggermente il punto di vista per accorgersi che diffondere quella stessa notizia è un dovere. Continuo a non trovare nessun motivo valido per venire a conoscenza dei partners sessuali di qualcuno, o per valutare un politico o un imprenditore a seconda di chi si porta a letto, a meno che questi non lo mettano in una posizione di ricattabilità. Nel caso la notizia va diffusa.
Qualche settimana fa è morta una ragazza di Rubiera. Tutto il paese è rimasto profondamente colpito da questa morte improvvisa, inspiegabile, irragionevole. Sulla Gazzetta di Reggio, a fianco della notizia, è stata pubblicata la foto del suo corpo senza vita, coperto da un lenzuolo bianco, a fianco del fidanzato in lacrime, sul ciglio della strada. Uno scatto che io avrei preferito non vedere. Presa dalla rabbia ho scritto alla redazione che doveva vergognarsi. Dalla redazione mi hanno risposto – e ringrazio davvero per la risposta – spiegandomi la complessità del mestiere di chi fa “nera”, che la foto doveva raccontare il dolore, che chi vi era immortalato non aveva nulla di cui vergognarsi. Ci mancherebbe… il punto non è questo. Per quel che mi riguarda credo che chi conosceva la ragazza non avesse bisogno di vederla sotto un lenzuolo. E che, a maggior ragione, chi non la conosceva non avrebbe dovuto guardare quel pezzo delle loro vite, da estraneo.
Perchè “spiare” dal buco della serratura l’intimità di una tragedia come quella? Ma, nel caso l’intento della comunicazione fosse stato diverso, ad esempio sensibilizzare sul problema della guida in stato di ebbrezza (ci tengo a sottolineare che non era questo il caso) la foto, dura, straziante, avrebbe supportato il messaggio che si voleva dare: “stai attento. Guidare ubriachi è pericoloso. La morte non coinvolge solo te”. In questo caso mi avrebbe comunque ferito ma anche fatto riflettere. Detto questo, non c’è una risposta giusta o una sbagliata. Caso per caso c’è bisogno di vagliare, soppesare e poi sperare di fare la scelta giusta, secondo coscienza. Una coscienza che deve rimanere quella del giornalista, del direttore e dell’editore. E non essere mai imbavagliata…