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Siamo animali sociali. La pandemia e le necessarie misure di sicurezza e prevenzione, passate in primis dal limitare le interazioni con il prossimo per cercare di proteggere noi stessi e gli altri dal Covid19, ce lo hanno confermato. Come? Accompagnando ogni superiore grado di isolamento con un aumento almeno pari di notifiche, trilli, suoni, chat, email, richieste di party (virtuali) di qua e di là, con questa o quell’altra app, videocall, riunioni e meeting a distanza per parlare anche delle cose più banali. Insomma, se prima della pandemia ogni scusa era buona per bere un caffè insieme in ufficio “così ne approfitto per parlarti di una cosa”, o un bicchiere di vino dopo l’ufficio (non siamo santi né astemi), ora sembra ancor più difficile rinunciare al gruppo su Whatsapp o alla videochiamata pure con i colleghi che amiamo di meno. Come sembra irrinunciabile bighellonare sui social in attesa che parta la diretta del nostro opinion leader preferito, o che entri in scena il presidente del Consiglio per aggiornarci su novità, regole e divieti. Perché tutto è Covid, in questo biennio 2020/2021. Anche quando non sembra così.
Più restiamo isolati e più siamo connessi. E ci piace, terribilmente. In fondo è questa la nostra forza. Non è necessario respirare la stessa aria per confrontarsi e partorire idee intelligenti. Senza dubbio una grandissima verità. Ma se riusciamo a farlo guardandoci negli occhi, godiamo di più.