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Negli scorsi mesi abbiamo assistito alla cerimonia di ricordo per il disastro del crollo del ponte Morandi a Genova, avvenuto il 14 agosto 2018. Sia gli organi di informazione che le stesse autorità intervenute, hanno parlato della cerimonia chiamandola commemorazione. L’unico che ha usato il termine rammemorazione è stato l’ex premier Giuseppe Conte che, usando un termine ricercato e ormai poco praticato, ha dimostrato la grande differenza che passa tra gli padroneggia la lingua italiana e chi crede di parlarla correttamente.
Il termine commemorazione infatti si dovrebbe usare in caso di feste, cerimonie festose e fastose, atte a celebrare vittorie o eventi solenni. Rammemorazione è invece il termine che andrebbe usato per cerimonie che evocano il ricordo di eventi mesti o luttuosi, perché rimanda ad un richiamo più intimo della memoria.
Sono infatti diversi e hanno diversa valenza i verbi che esprimono ricordo, andando dal leopardiano rimembrare al desueto ma elegantissimo rimemorare, passando per il più comune rammentare, usato maggiormente nel linguaggio scritto che in quello odierno parlato.
Possono sembrare tutte differenze di poco conto ai più, probabilmente, ma è proprio in virtù di questo lassismo lessicale che va a perdersi la lingua italiana, con tutta la sua ricchezza di sfumature. E in tempi di cosiddetto sovranismo, l’atto più alto e meno divisivo che potremmo mettere in pratica per difendere la nostra italianità è proprio quello di mantenere viva e vivace la nostra lingua.