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1-twsssgbly4sdwai15cbttg“Causa ed effetto non sono aspetti successivi ma solo aspetti simultanei della stessa verità.”
Queste parole scritte dallo studioso cinese Lyn Yutang penso rappresentino un buon punto di partenza per analizzare i comportamenti dei cittadini britannici in occasione dello storico referendum sulla Brexit.
Già all’inizio degli anni ’90 il loro primo ministro John Major non lasciava presagire nulla di buono riguardo alla volontà dei sudditi di Sua Maestà di rafforzare l’Unione Europea.
Attraverso il motto “wider, rather than deeper” (“meglio più ampia che più profonda”) metteva in evidenza come gli inglesi preferissero un’Europa meno concentrata tra il nucleo dei paesi forti fondatori ma piuttosto una realtà allargata ai dodici nuovi stati europei orientali e balcanici, sposando un tema molto caro anche ai loro cugini statunitensi per ovvi motivi strategico militari.
I 634.751 elettori che hanno modificato il corso della storia della Gran Bretagna pensavano forse che con il “Leave” non avrebbero comunque intaccato la solidità della loro economia ma la realtà è ben diversa.
Il paese, pochi mesi dopo il voto, ha visto crescere il tasso di inflazione di quasi un punto con il rischio di portare la stessa molto presto verso il 3% ; la presenza di un forte deficit commerciale unitamente a quello pubblico implica un forte deprezzamento della sterlina (che ha già perso circa il 10% del suo valore) generando un immediato aumento del costo delle importazioni.
La somma dell’alta inflazione associata ad un rallentamento economico non porta che ad un risultato: quello dello spettro recessivo.
La conseguenza sarà che, tutte le classi meno abbienti che speravano attraverso il “Leave” di riguadagnare prospettiva di lavoro nell’ambito dell’occupazione meno qualificata grazie alla politica del taglio dei migranti, ora si trovano di fronte al rischio di minori investimenti da parte delle imprese britanniche ed una possibile riduzione dei salari con una conseguente perdita del loro potere di acquisto.
Tutto ciò si inserisce in un contesto europeo in cui il perdurare della politica a tasso zero non farà altro che procrastinare in avanti nel tempo la scelta di nuovi impieghi da parte delle aziende e delle famiglie incrementando la disponibilità liquida del sistema e la massa dei risparmi.
Con l’inflazione a zero viene infatti a mancare la spinta psicologica che induce l’essere umano a comprare oggi perché farlo domani costerà di più.
La percezione del non aumento dei prezzi dei beni gioca brutti scherzi ed il Giappone con la sua deflazione pluridecennale ne è stato l’esempio più concreto.
Ora, dopo l’esperienza britannica, che mi auguro possa rappresentare un momento di profonda riflessione per tutti noi, i cittadini europei affronteranno il Referendum costituzionale in Italia ed avranno importanti tornate elettorali in Francia e Germania.
Mai come in questo periodo possiamo quindi dire che le parole dello storico cinese studioso del Tao Te Ching siano appropriate.