Partiamo dalla riforma della giustizia, nel suo complesso. Mi riferisco alla chiusura per accorpamento di molti tribunali e uffici del giudice di pace, del ricorso a procedure di mediazione quali la negoziazione assistita, la conciliazione e l’arbitrato. Tutto ciò ha contribuito ad una sensibile diminuzione del contenzioso civile pendente come risulta dalla nota illustrativa del Ministero che mette a confronto gli ultimi due anni giudiziari.
Siamo tutti consapevoli che l’eccessiva durata del processo civile sia la ragione di ripercussioni molto negative nell’ambito economico finanziario dell’impresa, e anche i semplici cittadini manifestano sempre meno fiducia verso la giustizia. Questo fenomeno dovrebbe essere sradicato, in quanto una collettività che considera la tutela dei propri diritti una sorta di voragine nella quale una volta precipitato non sai quando potrai uscire, è una comunità malata. Il principio della denegata giustizia è ormai molto diffuso nel nostro Paese e le istituzioni, per riacquistare la fiducia dei cittadini e del mondo delle imprese, non devono solo dichiarare intenzioni, ma devono essere propositive e costruttive. Urge riorganizzare un sistema Italia che oggi è visto dal cittadino come terra di conquista per la corruzione.
Viviamo in un’epoca dove dobbiamo fare i conti quotidianamente con maggiori impegni da sbrigare in un tempo sempre più ridotto. Ma siamo assistiti da un avanzamento tecnologico che ci aiuta molto. Proprio questa tecnologia deve essere presa in considerazione dallo Stato e resa disponibile per risolvere le diverse esigenze dei cittadini. Il processo telematico è un primo grande passo verso la totale dematerializzazione degli atti di causa e quindi la sua velocizzazione. Occorre continuare su questa strada e saranno necessari ulteriori investimenti tesi a migliorare, a perfezionare il suo buon funzionamento.
La condizione di privilegio, trasformata in diritto per pochi e rassegnazione per tanti, è una sedimentazione culturale e sociale che le Istituzioni debbono smantellare. Se la giustizia non è percepita dai cittadini come elemento forte che tutela e dunque sanziona i comportamenti contrari al diritto di ciascuno, la stessa democrazia può essere messa in discussione.
La riforma della Giustizia, stipulata dal decreto-legge 83/2015 convertito in legge 132/2015, è il primo deciso passo per scardinare questi elementi.
Il cittadino come l’imprenditore esige un servizio che funzioni, e per funzionare occorre che la gestione dell’organizzazione della giustizia venga aggiornata con congrui investimenti per la digitalizzazione del processo con indubbi vantaggi per gli operatori del diritto. La strada forse è ancora lunga, ma il legislatore è intervenuto, nel frattempo, proponendo mezzi alternativi al processo civile classico.
La riforma della giustizia ha proposto questa innovazione: ha licenziato mezzi alternativi al processo civile, quali la negoziazione assistita, la mediazione, l’arbitrato. Non è d’uso nel nostro Paese ricorrere a mezzi diversi dal processo avanti il giudice. La scommessa è quella di offrire la possibilità alle parti in lite di tentare accordi prima di procedere nel contenzioso. Qualora non se ne possa fare a meno le parti possono ricorrere all’arbitrato che offre le medesime garanzie del processo avanti il giudice togato, ma la cui procedura è più snella e perviene alla sentenza in tempi celeri. La svolta? Fare assumere un comportamento meno ostile ai mezzi alternativi, far sì che gli operatori del diritto siano formati ad hoc ed assumano una forma mentis nuova, al passo con i tempi in cui viviamo, per accompagnare i cittadini e le imprese verso un approccio nuovo alla gestione della lite.