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fabbricadelvapore_FbEra la notte del 26 febbraio 2011. Centinaia di persone si aggiravano per le strade di un nebbioso centro storico del nord Italia, sbuffi rosso sangue sugli strati di cerone. Era la camminata degli zombie, un flash mob che dava voce a un pensiero sempre più comune: la nostra è una città mortorio.
Il problema, però, era ben lungi dal riguardare solo il territorio in cui sfilavano quei non-vivi. Se fino alla metà degli anni Cinquanta la vita privata delle persone sconfinava in quella del quartiere per poi farsi più propriamente pubblica nei centri storici, col tempo le città hanno iniziato ad assomigliare sempre più a posti senza un cuore né una storia: gli stabili abbandonati sono diventati parte del panorama e le imprese si sono allontanate dal centro, lasciandolo svuotato, impoverito, potenzialmente pericoloso.
La riqualificazione delle città, quindi, è diventata una priorità ineludibile: ovunque nel mondo molte pubbliche amministrazioni si stanno rimboccando le maniche per migliorare la qualità della vita dei residenti e aumentare l’attrattività dei territori. Attività di marketing urbano sono andate di pari passo a iniziative di valorizzazione dello spazio pubblico; si è cercato di tamponare l’emergenza degli immobili invenduti; si sono studiate strategie per rilanciare i centri storici come cuori del commercio, della cultura e della socialità: ogni territorio secondo le proprie caratteristiche, in un avventuroso ibridarsi di tattiche promozionali e decisioni politiche.
Città da riscoprire
Un compito tutt’altro che semplice, però. Specie se si considera che non sono solamente i centri storici a perdere attrattività, ormai, ma anche “le polarità extraurbane e i luoghi artificiali del commercio”. Ne è convinta l’architetto Elena Franco, esperta di rivitalizzazione urbana, secondo cui «è necessario trovare nuovi equilibri e puntare all’integrazione di funzioni affinché i centri storici e gli addensamenti commerciali tradizionali possano tornare a essere competitivi». Non a caso si parla di town center management, un approccio in cui il settore pubblico e quello privato lavorano assieme al rilancio cittadino e, spiega la Franco, «delineano strategie di azione sul breve, medio e lungo periodo, non prima di aver definito una visione comune di sviluppo».
Ne nascono progetti che richiedono un lavoro costante: «Negli ultimi dieci anni il town center management è stato adottato anche in Italia, contestualizzando le buone pratiche estere ai casi specifici del nostro Paese. Spesso, però, l’approccio è stato applicato in maniera sporadica, senza una strategia regionale: molte volte ci si è fermati ad azioni di marketing territoriale, invece di affrontare i problemi legati al governo delle funzioni della città, all’attrazione di investimenti, alla definizione di politiche per l’uso degli spazi pubblici, agli aspetti connessi alla proprietà immobiliare».
Da cosa partire, allora, per avviare una di riqualificazione urbana realmente efficace? Per Giovanni Avosani, docente di Teorie e tecniche dell’architettura all’università di Ferrara, il primo passo è «dare nuova vita ad aree che possano essere utilizzate da tutti: riprogettandone gli spazi e organizzandovi attività sociali, queste zone saranno percepite come parti della città da condividere e verranno trattate con la dovuta cura. E non è tutto: interventi simili generano un aumento del valore fondiario degli immobili circostanti, e questo porta più persone a frequentare la zona, con un conseguente miglioramento dell’indotto». Un effetto domino grazie al quale la città, migliorando il suo aspetto e la qualità della vita che offre, si scopre capace di attrarre a sé turisti, investimenti e capitale umano.
L’esempio di Amsterdam, però, insegna che fare attenzione agli spazi pubblici non è l’unica via possibile per valorizzare un luogo. «All’inizio degli anni Duemila la città stava perdendo appeal nei confronti delle famiglie – racconta Avosani – Era necessario riposizionarsi, raccontando la sua bellezza non sono ai turisti con più possibilità di spesa, ma anche ai residenti e agli imprenditori dell’area». L’obiettivo è stato raggiunto con un rebranding che ha fatto piazza pulita di ogni precedente tentativo di promozione e lo ha sostituito con il marchio I Amsterdam, un invito rivolto a chiunque a far parte della città. Due parole sono bastate a una delle metropoli più libertine d’Europa per darsi una nuova identità, che ora campeggia indistintamente su siti di promozione turistica e iniziative commerciali, sui social network o – sotto forma di monumento – nelle zone urbane più frequentate.
Ovviamente, un’iniziativa del genere non può essere replicata ovunque: «Luoghi come Amsterdam o Berlino hanno una capacità di attrattiva tutta loro – precisa Avosani – Ma i centri più piccoli possono agire in altri modi: le città emiliano-romagnole, ad esempio, potrebbero essere molto competitive se si promuovessero come un unico sistema: lo dimostra il modello del bacino della Ruhr, dove al recupero delle acciaierie dismesse è seguita una forte brandizzazione territoriale».
Lungo la direttrice Rimini – Piacenza si sta lavorando già da tempo alla valorizzazione dei centri urbani: «Da anni promuoviamo una serie di interventi fondati su una programmazione unitaria e condivisa della città, in cui tutte le componenti che la animano siano percepite in modo integrato» illustra Andrea Corsini, assessore regionale al Turismo e al commercio. Ed è proprio sul commercio come motore di crescita economica e animazione sociale che si sta puntando: «È una rete centrale per la qualificazione delle città, per lo sviluppo di settori che stanno a monte come manifattura e servizi, e per quelli collegati il turismo».
Per essere portate avanti, però, simili iniziative di valorizzazione devono poter contare su risorse adeguate: «Noi, in attuazione della legge regionale 41 del 1997, concediamo contributi per i progetti realizzati dai Comuni, individuati con modalità concertative e finanziati attraverso apposite convenzioni», spiega Corsini. «Tra il 2011 e il 2014 abbiamo finanziato sessanta interventi per 3,630 milioni di euro, mentre per l’anno in corso abbiamo stanziato una disponibilità di un milione di euro. Grazie alle risorse del Programma operativo regionale – Fondo europeo di sviluppo regionale 2014/2020, poi, attiveremo una serie di bandi per sostenere le imprese del commercio e del turismo che presenteranno progetti per incrementare innovazione, qualificazione e ammodernamento. Infine, ci stiamo impegnando a garantire anche il finanziamento di ulteriori fasi di realizzazione di programmi particolarmente significativi e innovativi». Un aiuto importante, in un momento in cui molti enti pubblici vivono una situazione finanziaria tale da rischiare di compromettere ogni progetto di ampio respiro.
Le opportunità per valorizzare un territorio, come abbiamo visto, sono molteplici. Qualunque iniziativa, però, deve poggiare sempre sulla stessa base: secondo l’assessore Corsini «è fondamentale che tutti gli attori siano coinvolti nella pianificazione sinergica delle attività, dalle pubbliche amministrazioni agli operatori, fino alle associazioni di categoria». Ancora più netta è l’opinione di Elena Franco: «Senza un partenariato pubblico-privato qualsiasi ipotesi di town center management è destinata all’insuccesso», ammonisce. «Ma non solo: è necessario seguirne l’evolversi nel tempo, perché quasi mai gli attori presenti al momento del lancio di un progetto rimarranno gli stessi nelle fasi successive. Bisogna saper coinvolgere nuovi attori, definire modalità di collaborazione. Per la mia esperienza posso dire che il lavoro iniziale ha una durata media di tre anni, e spesso le amministrazioni pubbliche – che ovviamente hanno necessità di risultati coerenti con la durata del mandato amministrativo – hanno difficoltà a impegnarsi in un percorso che, se ben avviato, si consoliderà dopo altri tre anni».

Un impegno a lungo termine
«Puntare al qui e ora non serve: gli amministratori devono avere una visione»: ne è convinta anche Natalia Maramotti, assessora alla Città storica di Reggio Emilia, uno dei centri italiani impegnati a riqualificarsi. E i risultati di quella visione sono evidenti: «La città sta vivendo una nuova primavera», ammette anche l’architetto Avosani. Merito di un progetto a lungo termine di valorizzazione degli spazi pubblici, iniziato dalla trasformazione di piazza Martiri 7 luglio e proseguito con iniziative come i Mercoledì Rosa, capaci di ripopolare le vie della città sposando la cultura all’apertura dei negozi.
«Per noi il rilancio del centro storico doveva passare attraverso quello degli spazi commerciali – spiega la Maramotti – Nel 2012 abbiamo messo in campo un’iniziativa di governance coordinata: al primo impegno biennale – iniziato nel 2013 con un investimento di 240mila euro – ne è seguito un secondo, ancora in corso».
Tutto è nato sull’onda della legge regionale sulla valorizzazione delle imprese minori della rete distributiva che, ricorda l’assessora, «ci ha spinto a pensare in maniera congiunta: ecco perché, per decidere le iniziative da mettere in campo, abbiamo creato un Tavolo unico di coordinamento del commercio composto da Comune, Camera di Commercio, Cna, Confcommercio e Confesercenti». Quell’esperienza, nelle intenzioni dell’amministrazione comunale, è destinata a evolversi: «In futuro ci piacerebbe che i commercianti diventassero ancora più protagonisti – afferma la Maramotti – riunendosi in un’associazione temporanea di imprese per organizzare la promozione delle attività nell’esagono».
Inevitabile, però, trovare qualche resistenza lungo il percorso: «È tempo di Mercoledì Rosa, un appuntamento fisso dell’estate reggiana – racconta l’assessora – Ragazzi e famiglie passeggiano per le vie del centro, si godono un’offerta culturale di livello e l’opportunità di fare spese fino a tardi. Eppure alcuni negozi scelgono di rimanere chiusi, mentre chi apre fa il pienone. Non possiamo costringere nessuno a partecipare, ma ci spiace che alcuni non colgano lo spirito e le opportunità di iniziative simili».

Una questione di opportunità
Dopo anni sotto una spinta centrifuga, è tempo di tornare indietro. E non può che essere così, a ben pensarci: per Avosani, «i centri storici agiscono come un condensatore sociale ed economico. Chi vi abita, ad esempio, contribuisce a evitare che gli immobili si svuotino e perdano di valore; inoltre, può rinunciare all’auto e spostarsi in bicicletta o a piedi, incontrando così altre persone e contribuendo a creare relazioni sociali che rafforzano la comunità».
I cittadini, dunque, hanno un beneficio reale dalle politiche di riqualificazione urbana: non solo in termini di qualità della vita, ma anche di opportunità professionali e di circolazione di capitali che potrebbero arrivare non appena le città venissero percepite come più attrattive e competitive di prima. Perché ciò accada, però, occorre armarsi di pazienza: per l’architetto Elena Franco, «serve tempo per costruire una strategia e orientarla verso quello sviluppo che la comunità sente nelle proprie corde».
Chi amministra, in altre parole, deve conoscere la propria città, avvertirne i bisogni e agire di conseguenza: «I nostri brand indicano quello che siamo» conclude l’assessora Maramotti, riportando il discorso a Reggio Emilia. «Città delle persone racconta l’attenzione alla coesione sociale; C’entro descrive le nostre politiche di gestione condivisa del centro storico; We A Re, infine, è il simbolo della nostra volontà di innovazione. Dobbiamo promuovere la città per quello che è stata, pensando a quello che vorrà diventare».