«Per quanto le aziende italiane siano tradizionalmente votate all’export, l’internazionalizzazione prevede un passaggio ulteriore, che include lo sforzo di comprensione rispetto a regole e consuetudini anche molto lontane da noi». Con queste parole, Giovanni Roncucci, presidente di Roncucci&Partners, ci spiega che per affrontare adeguatamente le sfide poste dalla contrazione del mercato interno, ovvero le opportunità offerte dal mercato globale, è necessario calarsi nella realtà locale, e non solo dal punto di vista amministrativo, commerciale e logistico.
«La prima cosa da fare – chiarisce Roncucci – è assicurarsi che l’azienda abbia le caratteristiche per poter affrontare un percorso di espansione oltre confine. Si tratta di verificare se possegga, o sia in grado di reperire, le risorse economiche e finanziarie per affrontare quello che è prima di tutto un investimento, e se disponga di risorse manageriali preparate ad affrontare una competizione globale. Poi è fondamentale porsi obiettivi precisi, attraverso la messa a punto di un business plan realistico». Ma non finisce qui. «L’aspetto culturale dell’internazionalizzazione è probabilmente ciò che manca, in questo momento storico, al nostro sistema Paese. Potrebbe sembrare una questione accessoria al business, ma percepire e interpretare tali aspetti è parte integrante del successo di una strategia di internazionalizzazione».
Di cosa stiamo parlando? In senso lato, dell’importanza di conoscere il contesto economico, politico e culturale del Paese verso cui si indirizza il nostro business. Ma anche dell’importanza degli usi e costumi locali che possono rappresentare davvero un ostacolo se, come ci racconta Maria Birsan, consulente di Global Marketing, «può bastare un banalissimo errore, un atteggiamento non consono per vanificare tutti gli sforzi per instaurare un proficuo rapporto commerciale». Protocolli per gli incontri di affari, cerimoniali delle presentazioni, codici di abbigliamento e convivialità: regole non scritte da conoscere per muoversi in loco senza rischiare di mettere in discussione un rapporto commerciale. Tutto questo ha un nome – global etiquette – e un fondamentale concetto di partenza: nessuno è migliore o peggiore dell’altro, ma ogni cultura ha le sue regole da rispettare.
Arrivare in orario agli appuntamenti, per esempio. «Se un importatore tedesco vi dà un appuntamento alle 10.20 bisogna rispettare quell’orario; arrivare alle 10.30 è già tardi in maniera inaccettabile – racconta Birsan – Più vicini alla mentalità rilassata italiana sono gli arabi, ma guai a non rispettare le regole musulmane che potrebbero far interrompere una riunione di lavoro per la preghiera. In Brasile poi bisogna armarsi di pazienza e non stupirsi se un cliente arriva in ritardo a una riunione». Finito il meeting, magari dopo una trattativa estenuante, il vostro potenziale cliente potrebbe stupirvi: «In Turchia, Nord Africa e Brasile le trattative sono lunghe e abbastanza ingannevoli. In Est Europa e in Asia poi si è soliti fare una specie di test di fiducia prima di scegliere un partner, e non è inusuale che una trattativa quasi certa si concluda con un nulla di fatto per mettere alla prova l’interlocutore».
Anche il modo in cui ci si presenta o ci si congeda ha un peso. Siete soliti scambiarvi i biglietti da visita con noncuranza? Evitate di farlo in Asia: «In Cina – prosegue Birsan – i biglietti da visita vengono dati presentandoli con due mani. In Giappone è consigliato studiarli qualche secondo prima di riporli perché hanno lo stesso valore di un documento di identità. In Indonesia vanno offerti con gentilezza, sempre usando la mano destra, e accettati con rispetto. Inoltre, dato che gli indonesiani tengono in gran conto il rango di una persona è bene assicurarsi che la propria qualifica sia evidenziata chiaramente sul biglietto da visita». Attenzione poi alla stretta di mano: se nei Paesi Arabi è molle, non sempre sarà sigillo di un affare. «In India è ben accetta, ma gli indiani usano il namasté, il saluto che, con i palmi delle mani chiuse a preghiera tenuti all’altezza del cuore e un piccolo inchino, esprime un senso di reverenza nei confronti della persona che si ha di fronte. In alcuni paesi come il Bahrein, poi, le persone dello stesso sesso si salutano con due baci per ogni guancia». Giacca e cravatta paiono invece un passepartout. «Questo dress code vale quasi dappertutto. Anche se ci sono dettagli da considerare e la cosa migliore forse è informarsi esplicitamente. Per esempio nei paesi dell’Est o in Sud America non basta essere formali, ma bisognerebbe essere anche molto eleganti; in Oriente però il concetto di formale in abito europeo è ancora impreciso. Ma ci sono sorprese anche in culture più vicine alla nostra: in America un impiegato o un funzionario non vengono accettati in ufficio se non hanno un abito grigio, blu o nero; cammello, tweed, toppe di pelle sui gomiti sono per il weekend».
E il nostro tipico pranzo d’affari? «Non vale in ogni Paese. Con tedeschi, svizzeri e olandesi è meglio non provare neanche a fare l’invito, e accettarlo solo se viene da loro. In Cina chi chiede conti separati al ristorante è considerato un miserabile. In Giappone, invece, se una donna partecipa a un pranzo non può ordinare e mangiare insieme agli uomini. Partecipa al tavolo, però attende che i maschi abbiano finito di pranzare». E se le cautele da osservare nel rapportarsi al genere femminile di molte culture sono forse le più note, bisogna osservare che anche altre categorie possono essere considerate particolari: «In Cina per esempio, è bene che un giovane imprenditore si presenti agli appuntamenti accompagnato da un anziano, perché la leadership e l’autorevolezza vengono riconosciute solo a chi ha più di 50 anni».
E’ chiaro che ogni Paese è un sistema a sé stante… Ma esistono una serie di principi base dell’internazionalizzazione, trasversali e applicabili a ogni contesto? è di nuovo Roncucci a spiegare: «La disponibilità a immergersi in contesti non solo imprenditoriali, ma anche sociali e culturali molto differenti è senza dubbio un primo elemento trasversale. Stabilire un rapporto diretto con il mercato locale e i propri referenti è poi un altro importante principio base: questo significa presidiare a tutti gli effetti un mercato, e non semplicemente vendere i propri prodotti. Infine, la tutela del proprio marchio e dell’italianità, che ancora costituisce un formidabile biglietto da visita per le nostre aziende. Assicurarsi di mantenere sempre una precisa identità, specialmente nei mercati più grandi, è un altro elemento di fondamentale importanza».