Dal piccone alla clava, dal fioretto all’uncinetto, la sbandierata rivoluzione contro gli ordini professionali ha assunto alla fine i toni di una restaurazione tesa a rinfrescare e a blindare il futuro di un sistema all’interno del quale ruotano 2,1 milioni di attori (molti dei quali seduti sugli scranni di Camera e Senato). Dopo trent’anni di discussioni, nel 2011, il liberista Tremonti decide di svegliare tutti dal torpore, e dà un anno di tempo agli ordini per riorganizzarsi, pena l’autodistruzione. A quel punto le professioni si mettono al lavoro. Per completare la riforma, penserete. No, per intavolare una lunga trattativa con ministri e sottosegretari, nel frattempo mutati, fino all’incontro con il Guardasigilli Paola Severino – avvocato – che perora la causa strappando il sì del Consiglio dei ministri alla (contro) riforma. Un provvedimento votato dal governo il 3 agosto scorso, come a volersi togliere un peso prima di partire per le vacanze. Un gol in zona Cesarini, a soli dieci giorni dalla scadenza fissata per il 13 agosto dal progetto di Tremonti (con lo zampino del giornalista economico Oscar Giannino). Per la verità qualche apertura è stata necessaria, in particolare alla concorrenza e alla separazione tra le funzioni disciplinari e quelle amministrative. Poca roba rispetto all’orizzonte delineato, in piena emergenza finanziaria, dal governo Berlusconi con la legge di stabilità e la ghigliottina del 13 agosto fissata dal successivo decreto salva-Italia.
«Il vantaggio primario del mantenimento degli ordini è per i cittadini, assistiti da soggetti identificabili, controllati e dal percorso formativo conosciuto – spiega Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e autore del libro Professionisti privilegiati e parassiti: la grande mistificazione – Avere un sistema degli ordini efficace è un vantaggio anche per lo Stato, che sempre più spesso esternalizza funzioni proprie ai professionisti». Brutta cosa, la mistificazione: «I motivi sono di natura meramente economica – spiega De Luca – Più che l’interesse dei cittadini, fa gola un mercato che vale il 15,5% del Pil. La riforma è buona ma perfettibile. Mi riferisco per esempio al regime tariffario, troppo frettolosamente mandato in soffitta: i parametri hanno il sapore di un tentativo mal riuscito di riparazione, più che di una vera e propria soluzione. Ma anche in materia di società tra professionisti o di praticantato e formazione vi sono aspetti da rivedere».
Non tutti sono d’accordo con De Luca. Le lobby professionali animano il Parlamento e sono trasversali agli schieramenti, sostiene Franco Stefanoni, giornalista de Il Mondo e autore del libro I veri intoccabili. «Dopo trent’anni di inutili tentativi, le bozze che puntavano a snellire di molto il numero di Ordini e a semplificare le regole erano scritte in modo da risultare impresentabili, confondendo i termini, focalizzandosi su alcune categorie e non su altre, sommando le pere con le mele. Il risultato era un testo così massimalista che sembrava redatto per ottenere l’effetto opposto: che niente cambiasse, così come in effetti è stato. Monti e il sottosegretario Catricalà prima hanno promesso una mezza rivoluzione. In un secondo tempo hanno dovuto correggere, limare, stralciare».
Il risultato? «Alla fine – prosegue Stefanoni – le tariffe sono sparite, ma sono previsti prezzi di riferimento che di fatto funzionano come tariffe. I notai dovrebbero aumentare di 1.500 unità, ma i concorsi sono per il momento teorici e lontani da essere banditi. Le farmacie non sono ancora aumentate di numero e i farmaci che dovevano essere liberalizzati sono stati pochi. L’assicurazione obbligatoria scatterà solo nell’agosto 2013 e per la formazione continua bisognerà attendere un anno. Il preventivo sarà solo facoltativo». E in tutto questo c’è pure un ordine che fa storia a sè: è quello degli avvocati, per i quali la riforma ha seguito un iter ad hoc ed è stata approvata in via definitiva dal Senato il 21 dicembre scorso. Ci sarà più selezione all’ingresso, più controllo sull’operato degli iscritti e più trasparenza. Tra le principali novità, il nuovo esame di Stato: tre prove scritte e una orale da svolgersi nella stessa sede, senza codici commentati; l’obbligo per il legale di stipulare una polizza di assicurazione per la responsabilità civile; la formazione permanente; la possibilità di farsi pubblicità e di costituire società tra avvocati anche di natura multidisciplinare. E le vecchie tariffe minime, vero oggetto del contendere? Il compenso dovrà essere sempre pattuito tra avvocato e cliente, ma le indicazioni in caso di disaccordo restano. Infine, sempre a proposito di pecunia, un rimborso potrà essere riconosciuto al praticante decorso il primo semestre dei tre di tirocinio.
Nulla di nuovo sotto il sole. O meglio, come fa notare Stefanoni, «paradossalmente, la novità più forte è passata inosservata: quella che rafforza il potere dei consigli nazionali, ovvero il gotha delle categorie, rispetto ai consigli locali sparsi sul territorio».