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Cosa scegliereste tra la certezza di ricevere 900 euro e il 90% di probabilità di ottenerne 1000? E tra la certezza di perderne 900 e il 90% di probabilità di perderne 1000? Nel primo caso la stragrande maggioranza delle persone si dimostra avversa al rischio, ma queste stesse persone, nel secondo caso, trovandosi di fronte a una perdita certa, tendono a preferire l’azzardo diventando come per magia propense al rischio… Chiariamo subito che non esiste un atteggiamento corretto e uno scorretto in assoluto, ma è fondamentale che vi sia simmetria nei due approcci.
Daniel Kahneman è stato il primo psicologo a ottenere un premio Nobel per l’economia, nel 2002, con le ricerche pionieristiche condotte assieme ad Amos Tversky sul processo decisionale in condizioni di incertezza. I loro studi hanno portato all’innovativa teoria del prospetto, che tiene conto del valore soggettivo che attribuiamo alle perdite e ai guadagni che, a un livello più profondo, rappresentano per noi rispettivamente vittorie e sconfitte. Tutti detestiamo perdere più di quanto non ci piaccia vincere: una perdita di una determinata cifra ci fa soffrire emotivamente di più di quanto non ci faccia piacere guadagnare la stessa identica somma. Non a caso, in diversi esperimenti in cui è stato chiesto ai soggetti coinvolti quale fosse il guadagno minimo ritenuto adeguato per compensare un’uguale probabilità di perdere 100 euro, la risposta è stata in media 200 euro.
Alla luce di queste considerazioni, risulta più chiara la motivazione che ostacola la pronta chiusura delle operazioni di borsa in perdita, e che parallelamente ci fa stoppare le operazioni favorevoli facendoci portare a casa solo le briciole. Quando guadagniamo siamo avversi al rischio. L’impazienza ci spinge a chiudere frettolosamente un’operazione, anche se è ancora lontana dall’obiettivo che avevamo studiato a tavolino e che ci eravamo promessi di rispettare, solo perché ci focalizziamo sul rischio di perdere ciò che abbiamo accumulato virtualmente fino a quel momento. Quando invece abbiamo una posizione in sofferenza, sopraggiunge l’avversione alla perdita, che ci fa sovrastimare le possibilità di recupero e ci fa assumere dei rischi che prima di fare il trade non avremmo deciso di correre. La dimensione del tempo diventa centrale: perdere adesso è più doloroso di una perdita maggiore futura e posticipare la decisione (pur essendo di fatto anche il rinvio stesso una decisione!) significa rimandare il dolore che nell’immediato non vogliamo affrontare. Queste riflessioni spiegano anche perché quando siamo in utile apriamo più facilmente un altro trade, mentre quando perdiamo ci paralizziamo e perdiamo coraggio: il piacere è sempre troppo poco soddisfacente, e il ricordo del dolore troppo spiacevole.
Ancora una volta è chiaro che è necessario conoscere se stessi prima ancora del funzionamento dei mercati per cimentarsi in operazioni di trading, altrimenti si rischia di venire travolti dai numeri e dai loro significati nascosti. Esperimenti con la TAC e la risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato scientificamente che nel nostro cervello si attivano zone cerebrali diverse a seconda degli utili o delle perdite: più siamo consapevoli di queste nostre inclinazioni, prima impareremo a gestirle.
Altrimenti saranno loro a gestire noi.