Cinque anni fa Sicko, l’atto d’accusa di Michael Moore contro il welfare americano, ebbe come effetto indiretto quello di mostrarci che il nostro sistema sanitario – pur tra assurdità e lacune, tipicamente italiane – è considerato anche oltreoceano come uno dei migliori al mondo, secondo solo a quello francese. Ma se il polemico regista statunitense dovesse girare oggi il suo documentario cosa direbbe di noi?
Secondo una recente indagine Censis, cresce tra gli italiani la percezione che la qualità dei servizi sanitari stia peggiorando; percezione che sembra legata in maniera diretta a un ridimensionamento sempre più consistente della spesa pubblica destinata ai servizi socio-sanitari. Lo stesso assessore alle Politiche per la salute dell’Emilia Romagna, Carlo Lusenti, nel commentare i dati del Fondo regionale 2012 – peraltro, prima che il Governo intervenisse con le misure di spending review – ha ammesso che la sanità si trova «in una situazione molto difficile». Le risorse sono sempre meno, mentre i costi di beni e servizi per il Sistema Sanitario Nazionale (Ssn) crescono del 3,5% su base annua, e l’aspettativa di vita si allunga sempre più, portando con sé un numero crescente di bisogni di assistenza. Ma il dato più allarmante è quello che riguarda i 9 milioni di italiani – quasi uno su sette – che hanno dichiarato di non aver potuto accedere, dall’inizio dell’anno, alle prestazioni sanitarie di cui avevano bisogno per ragioni economiche. Il risultato del massiccio razionamento del pubblico è che il costo delle prestazioni sanitarie tende a spostarsi sui cittadini, costretti a scegliere tra rinunciare a curarsi o rivolgersi a strutture private – il cui giro di affari, negli ultimi dieci anni, è aumentato del 25,5%, nonostante la crisi. Rischia di rompersi il patto sociale che garantiva un universale diritto alla salute?
La sanità integrativa
Per i più significa uno di quei fondi assicurativi legati al contratto nazionale in base al quale si assume o si è assunti. ma in questo universo qualcosa si muove e ha la forma del no profit
Un universo parallelo, a metà strada tra la struttura pubblica o privata e il cittadino, è quello della sanità integrativa, popolato per lo più da fondi assicurativi come quelli legati ai contratti nazionali di lavoro. Il lavoratore ha diritto all’iscrizione a carico del datore di lavoro al fondo relativo al proprio settore, che gli offrirà una serie di servizi come prezzi e tariffe agevolate presso centri e studi medici convenzionati. Ma in questo universo qualcosa si muove e ha la forma del no profit.
Abbiamo incotrato Alfonso Colli, fondatore e presidente di Mutua Nuova Sanità, una mutua solidaristica e intecategoriale nata a Reggio Emilia nel 1995 e che oggi associa circa 30 mila nuclei famigliari per un totale di quasi 75 mila persone in tutto il Centro Nord. «Realtà come la nostra non mirano a sostituire il Ssn, ma a sopperire alle lacune e alle debolezze del sistema pubblico – spiega Colli – La nostra Regione ha investito parecchio nella qualità scientifica e clinica, a scapito per esempio della riduzione delle liste d’attesa: è in casi simili che subentra la sanità integrativa».
L’esperienza di Colli è un unicum nel panorma nazionale e nasce da una reinterpretazione più efficiente di un istituto che affonda le sue radici nella storia del nostro paese e della cooperazione: la mutua, appunto. L’idea originale e di successo consiste nell’aver dato vita a una mutua di gruppi (le sezioni-soci) e non di singole persone, aprendosi alla loro diretta partecipazione. Questo ha consentito di ridurre i costi e offrire pacchetti di servizi su misura. «Sul mercato – spiega Colli – esistono diversi soggetti che operano nella sanità integrativa, ma spesso i costi sono alti e i pacchetti di servizi non sono sufficientemente flessibili – quando adirittura inutili. A partire da sei euro l’anno, invece, i nostri soci accedono a servizi come la scontistica sulle prestazioni specialistiche, la disponibilità di un medico 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 anche in viaggio, fino ai servizi di assistenza domiciliare per immobilità temporanee, socio-assistenza per immobilità permanenti, orientamento e consulenza».
Costi di gestione contenuti, flessibilità, accesso pressoché immediato ai servizi richiesti: non dovrebbe offrirli il Ssn? «Continuiamo a essere un sistema integrativo, e non sostitutivo, del welfare – precisa Colli – Collaboriamo con i distretti sanitari delle province di Modena, Bologna e Parma e di altre zone del Nord Italia. Prevedo che presto si svilupperanno altre realtà simili alla nostra». La sanità integrativa può dunque contribuire a decongestionare un sistema pubblico soffocato dalla mancanza di fondi e da spese sempre più consistenti, almeno fino a quando il pubblico non avrà raggiunto un equilibrio di sostenibilità.
Cooperative? Sì, ma di dottori
Sempre più medici di base scelgono di associarsi a livello territoriale: Una scelta di cui beneficiano sia i pazienti sia il sistema del Welfare
A soccorrere la sanità pubblica, però, potrebbe essere la sanità pubblica stessa. Oltre il 10% dei medici di base del nostro Paese lavora in forma associata, unendosi per esempio in una cooperativa di medici generici, che consente di ridurre i costi e offrire ai pazienti diversi vantaggi, a cominciare da una copertura più ampia di giorni e orari. Il ragionamento è semplice: se (quasi) a qualunque ora posso trovare il mio medico, o comunque un dottore che lavora a stretto contatto con lui, tenderò a rivolgermi sempre meno al pronto soccorso e all’ospedale se non in casi di urgenza vitale conclamata, contribuendo così a decongestionare strutture prese d’assalto e con sempre meno fondi a disposizione. Di queste associazioni, infatti, possono far parte non solo i medici generici, ma anche infermieri, pediatri e specialisti. Pur restando fermo il rapporto con il proprio dottore, il paziente sa di trovare anche altri medici a cui rivolgersi, e di poter approfittare di servizi specialistici anche senza andare in ospedale. E i costi per la sanità pubblica si abbassano: le cooperative possono condividere sedi, strutture, personale, attrezzature e organizzazione, e gli eventuali utili vengono redistribuiti e impiegati nel miglioramento dei servizi.
Articolo 32
Cresce il divario tra fabbisogni finanziari e copertura pubblica disponibile per il Welfare: occorre agire ora
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Questo il principio stabilito nell’articolo 32 della nostra Costituzione, oggi messo a dura prova: i dati relativi al Patto per la Salute 2013-2015 mostrano un futuro dove aumenterà il divario tra fabbisogni finanziari e copertura pubblica disponibile. E se nel 2012 lo scarto sarà di soli 806 mila euro, entro il 2015 potrebbe raggiungere gli otto miliardi. Prima di allora, converrà fare tesoro di soluzioni – che già esistono – per salvaguardare quello che, una volta, era il secondo miglior welfare al mondo.