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«E’ stato come sentire un serpente che striscia tra l’asfalto, sotto i tuoi piedi». L’agente di polizia municipale ha la faccia spaventata, la sua divisa non lo protegge. Sento un silenzio assordante. Solo giorni dopo mi renderò conto di essermi protetto, scegliendo di ignorare il frastuono delle ruspe. Tutti lavorano, a testa bassa. Reagiscono. Nessuna pretesa arrogante, nessuna voce alzata. Ordine nel disastro. Un anziano sta all’ombra di un camper, in una vigna. «Abitavo in quella casa dal 1953», mi dice. Ma di quella casa resta un cumulo di mattoni. Tento di indovinare foto, oggetti, ricordi confusi tra la polvere, le sbarre, le travi. Le ronde silenziose delle persone intorno al limitare della zona rossa, gli sguardi di chi aspetta. La casualità dei crolli: qui sì, lì no. Non rendersi conto di nulla, e vedere tutto. Uno scambio di sms: “Come va?”. “C’è tanto da fare. Mi impedisce di andare nel panico”.