La Giacomazzi S.p.A. di Genova, specializzata nella gestione dei patrimoni immobiliari, opera sul territorio nazionale fin dal 1985. Industria immobiliare a tutto tondo, con esclusione del settore delle costruzioni edili, pone specifica attenzione al controllo della “filiera” che va dall’analisi di mercato, alla “due diligence”, agli studi di fattibilità, alla gestione integrata dei processi di valorizzazione fino al finanziamento del prodotto e alla vendita immobiliare, con particolare riferimento ai patrimoni pubblici e privati. Un servizio fondato sulla qualità dei processi e confezionato su misura per le diverse esigenze del Committente. Amministratore delegato della società l’ing. Vittorio Piccardo, dal 1991 socio del Gruppo.
Ingegnere, quali cambiamenti ci sono stati nel settore in questi ultimi anni?
Se parliamo di Liguria, e di Genova in particolare, non possiamo pensare che qualunque discorso sia adattabile in ambito nazionale. Genova è una città ”vecchia”, vale a dire abitata da anziani, c’è poca euforia per mancanza di lavoro, si sposano in pochi e in pochi fanno figli. I neo laureati sono spesso costretti ad uscire dalle mura cittadine migrando laddove esiste ancora un’offerta di lavoro qualificata. A Milano, fino ad oggi punto di riferimento importante per chi lavora nell’industria e nei servizi, esiste una notevole “colonia genovese” che tende ad aumentare di numero e, salvo imprevedibili inversioni di tendenza, destinate a naturalizzarsi lontano da Genova.
Tutto questo per dire che il patrimonio immobiliare genovese, soprattutto nelle zone tradizionalmente residenziali di pregio con appartamenti di grande metrature per nuclei familiari numerosi, ha scarso senso. Da qui il riadeguamento degli appartamenti. I proprietari di grossi immobili stanno trovando più logico e fruttuoso frazionare le proprietà per vendere o affittare a nuclei familiari ridotti come richiede il mercato. Genova è una delle città dove i nuclei unipersonali sono più numerosi ed è necessario rispondere con un’offerta adeguata. Il mercato soffre della crisi economica generalizzata acuita dalla difficoltà di erogazione dei mutui da parte del sistema creditizio. Una casa media costa intorno ai 250.000 euro e ad oggi non è facile per una giovane coppia, ma ancor meno per chi è solo e quindi conta su un solo stipendio, potersi imbarcare in un mutuo diciamo” senza fine”.
Qual è il destino dell’edilizia a Genova?
Genova ha sempre investito nel mattone, ma ripeto che oggi è tutto difficile . Anche alloggi centrali di ottima qualità a Corte Lambruschini hanno subito un ribasso del 20%. I quartieri che certamente tengono sono Albaro e Nervi, il Levante genovese insomma. Diciamo che il futuro è incerto ed il mercato “drogato”. Si dovrebbe puntare a valorizzare il patrimonio esistente anziché continuare a costruire il nuovo e magari periferico, ma il centro storico che dovrebbe rappresentare il fiore all’occhiello della città è stato tutelato nella quantità e non nella qualità. Senza il miglioramento del tessuto sociale, che è possibile soltanto col miglioramento dei servizi, non può esserci altro che degrado nella zona. Nessun genovese accetterebbe più di andare a vivere in una zona dove mancano posteggi, spazi esterni vivibili e sicurezza , per questo la maggior parte del nostro centro storico è abitato in prevalenza da extracomunitari e da persone appartenenti a fasce sociali deboli. Bisogna trovare il coraggio di avviare un piano di risanamento serio e non demagogico, con diradamento degli edifici non significativi e l’apertura di spazi che consentano una normale accessibilità e normali condizioni di vita. L’unico parcheggio possibile in zona è quello del porto Antico. Ma, dica lei, chi ha voglia di attraversare quella casbah per tornare a casa la sera? I giovani, finchè restano tali, forse, ma già quando cominciano ad avere moglie e carrozzino, meno. Certo, operazioni di questo tipo necessitano di notevoli risorse e quindi credo che al momento tutto questo non sia proponibile.
Come è l’economia in Liguria in questo momento?
L’attività portuale dà segni di ripresa, ma anche le grandi aziende che assorbivano tante maestranze si sono fisiologicamente ridotte sia per la globalizzazione che per carenze strutturali, logistiche e di infrastrutture. C’è bisogno di interventi grandi ed urgenti, ma anche qui la capacità delle risorse è esigua.
Cosa ne pensa dell’ultima versione della finanziaria?
Mi pare che ci sia grande confusione tanto da sembrare una gara di dilettanti allo sbaraglio con provvedimenti che vengono quotidianamente ritirati e modificati. Dovremmo distinguere tra interventi per tamponare le emergenze e quelli più strutturati per fare ripartire l’economia. Per far affluire soldi nelle casse pubbliche bisogna basarsi ancora una volta sui redditi dei cittadini, il resto è fumo. Ma è anche vero che i sacrifici possono essere accettati se esiste una strategia chiara per dare un futuro, una prospettiva. Solo in questo senso assume significato lo sciopero programmato, che per altro aggiunge tensione e danno ad un economia che lotta per non perdere ulteriori posizioni.
Lei è ottimista sul destino dell’Italia?
Difficile pensare con ottimismo in questo momento. Il Paese si deve assolutamente dare una struttura diversa, una diversa mentalità che superi la logica delle parti, se vuole avere credibilità. Il clima è avvelenato, la gente è stufa se è vero, come è vero, che il primo partito è rappresentato dai non votanti. Si avverte il bisogno di recuperare un dialogo più sereno ed oggettivo a prescindere dalle situazioni dei singoli. Auspichiamo una svolta decisa per un recupero di credibilità della classe politica senza proclamare, per una volta, né vinti né vincitori, dal momento che, a nostro avviso, vincitori non ce ne sono.