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Il dottore commercialista è sempre stato il professionista di fiducia e di riferimento dell’imprenditore, per consulenze di tipo legale, fiscale e contabile. Molto raramente il commercialista è stato coinvolto per consulenze di tipo manageriale.

Negli ultimi dieci anni però il ruolo del commercialista è andato evolvendosi, visti gli sconvolgimenti dello scenario di riferimento.
Vari fattori, tra i quali l’apertura dei mercati alla competizione internazionale, la rapida evoluzione della tecnologia e della comunicazione, e l’incremento della complessità del sistema economico e giuridico, hanno scombinato letteralmente le strategie delle imprese nell’approccio al mercato, che spesso si sono rivelate del tutto impreparate al cambiamento. In questo nuovo contesto, le aziende hanno sentito l’esigenza di coinvolgere il commercialista non solo per le attività ordinarie, ma anche per la propria riorganizzazione strategica, la definizione di nuovi assetti societari, l’impostazione di progetti di espansione commerciale e produttiva, l’assistenza finanziaria e gestionale, vale a dire tutta una serie di servizi che potrebbero rivelarsi decisivi per il successo (e la sopravvivenza) dell’impresa.
Per quanto riguarda l’assistenza finanziaria, il professionista può agevolare il rapporto tra aziende e istituti di credito. Avendo una conoscenza trasversale dell’azienda, comprendendo la logica delle banche ed essendo figura fiduciaria di entrambe le parti, il commercialista può permettere ai due interlocutori di parlare un linguaggio comune e consentire quindi un dialogo proficuo, a beneficio dello sviluppo delle imprese, delle banche e del territorio.
Nei momenti di crisi aziendale il professionista ha invece il compito di analizzare lo stato dell’impresa, capire se si tratta di uno squilibrio momentaneo o di una crisi strutturale, ed intervenire con la predisposizione di un piano di rilancio e risanamento o, nel peggiore dei casi, di una procedura di uscita prevista dalla legge fallimentare. Il commercialista può inoltre assistere l’azienda nell’introduzione dei necessari strumenti di pianificazione e controllo di gestione, al fine di facilitare il monitoraggio della stessa da parte della direzione, comprenderne l’andamento storico e migliorarne le performance. Si parte dalla definizione e fissazione degli obiettivi strategici, e si passa al controllo vero e proprio, che consiste nella verifica del grado di realizzazione degli obiettivi stessi attraverso vari strumenti, tra cui i principali sono il budget, il reporting periodico, l’analisi degli scostamenti, il rendiconto finanziario.
Per riuscire nell’intento, il commercialista sarà spinto a migliorare la propria specializzazione e fornire servizi di una certa complessità e multidisciplinarità, collaborando con altri professionisti ed associandosi in studi professionali: sarà necessario coordinarsi per permettere la realizzazione di interventi di tipo straordinario, attraverso la condivisione di conoscenze ed esperienze diverse e complementari.
La tendenza è in atto, come dimostrano i dati dell’Ordine dei Commercialisti di Bologna: su una base stabile di circa 2.300 professionisti nel biennio 2009-2010, si contavano a fine 2009 194 studi professionali, di cui 13 con più di 5 associati, mentre a fine 2010 si contavano 199 studi, di cui 15 con più di 5 associati. Anche i dati dell’Ordine dei Commercialisti di Modena confermano il trend: a fine 2010, su circa 1.114 tra ragionieri e dottori commercialisti della Provincia, solamente 412 facevano parte di 132 studi associati, in crescita rispetto ai 391 professionisti dei 124 studi del 2009 (i dottori a fine 2009 commercialisti erano 1.088); la dimensione media si presenta comunque ancora ridotta: solamente 20 studi associati su 132 presentano più di 5 professionisti di riferimento a fine 2010.
È giunto quindi anche per i dottori commercialisti il momento di cambiare, per ripartire.

One Comment

  • Caro Marco, non riesco a resistere dall’esprimere la mia opionione in merito al rapporto tra commercialista ed imprenditore…
    Sono d’accordo con te per quanto concerne il supporto nella gestione finanziaria e contabile, ma per quanto riguarda i progetti di espansione commerciale o di rilancio di un’azienda NO.
    Per creare un piano commerciale/marketing, le competenze specifiche che esulano dal campo contabile sono molte…
    – la capacità di analisi del mercato e di reperimento delle info mancanti
    – l’individuazione di nuovi trend
    – la gestione della COMUNICAZIONE
    per citarne alcune…
    Ho visto più volte commercialisti che si sono cimentati in questo tipo di avventure, con risultati disastrosi perché sempre e comunque “nelle righe”.
    La mia opinione è che invece le aziende debbano introdurre competenze di marketing (ancora mancanti), unitamente ad un ferreo controllo di gestione (con buoni ingegneri gestionali), piuttosto che farsi guidare dalla contabilità che spesso taglia investimenti, riduce gli orizzonti e sbiadisce le nuove idee.
    Sarò di parte? Può darsi 🙂