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Lo scorso 30 agosto è stato firmato a Sochi, sul Mar Nero, un accordo di cooperazione strategica tra la compagnia petrolifera statale russa Rosneft ed il gigante statunitense Exxon Mobil.
Oggetto dell’intesa l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Prinovezemelsky, situati nella zona dell’Artico che ricade sotto la territorialità russa: per la precisione ci troviamo nelle gelide acque del Mare di Kara, sulla costa nord-occidentale russa. Secondo le stime si tratta della più promettente riserva di idrocarburi rimasta sul pianeta: si pensa che nell’Artico sia presente circa il 13% delle scorte mondiali di petrolio, circa 90 miliardi di barili, ed il 30% di quelle di gas naturale.

Le principali compagnie petrolifere mondiali corteggiavano da tempo Rosneft: Chevron, Royal Dutch Shell, Totaloil, la francese Total ed in particolare l’inglese British Petroleum, ben nota alle cronache per il disastro della piattaforma Deepwater Horizon al largo del Golfo del Messico nell’aprile del 2010. Va detto che Exxon Mobil è probabilmente il partner migliore per la compagnia russa in questo affare, o quantomeno rappresenta esattamente ciò che Rosneft stava cercando da mesi: un alleato in grado di fornire la tecnologia e le competenze necessarie per affrontare quella che è senza dubbio una sfida estrema sotto il profilo tecnico e operativo.
Ciononostante, l’accordo ha colto di sorpresa la maggior parte degli osservatori internazionali: un’intesa tra Russia e Stati Uniti in un settore così strategico come quello energetico non si sente tutti i giorni, tanto che c’è chi lo ha salutato come la definitiva parola fine sulla guerra fredda. Indubbiamente, il fatto che Rosneft sia a tutti gli effetti un assetto del governo di Mosca aumenta non di poco la valenza politica dell’accordo.
A Washington, alcuni analisti hanno storto il naso a proposito della controparte pagata da Exxon per l’accesso agli idrocarburi dell’Artico russo – la cessione a Rosneft di una quota nello sfruttamento di alcuni giacimenti in Texas e nel Golfo del Messico. Si tratta di un evento assolutamente senza precedenti, ma non è un prezzo troppo alto se le stime riguardanti i giacimenti presenti in quella parte del globo saranno confermate. Altri dubbi da parte statunitense riguarderebbero l’affidabilità del partner e del business environment russo in generale: in diverse occasioni il Cremlino e le compagnie sotto la sua amministrazione non si sono dimostrate particolarmente fedeli alle pratiche del fairplay commerciale. Per quanto riguarda Mosca invece, il vantaggio più immediato è proprio in termini di acquisizione di tecnologie e di know – how: cooperare con quella che è probabilmente la più avanzata compagnia petrolifera nel mondo porterà senz’altro benefici a tutto il settore in Russia, oltre a consentire, tramite i diritti acquisiti sui giacimenti in Nord America, quella diversificazione delle fonti d’energia che era da tempo tra gli obiettivi dei policymakers del Cremlino.
è forse eccessivo vedere in tale accordo una rivoluzione nelle relazioni tra i due paesi, tuttavia, è senz’altro lecito affermare che esso costituisce un significativo segnale positivo, come commentato dallo stesso Vladimir Putin nella conferenza seguita all’annuncio dell’intesa. è senz’altro un’indicazione del fatto che la linea distensiva fortemente voluta da Obama nei confronti della Russia (il cosiddetto reset) può effettivamente portare a risultati concreti e tangibili.
L’accordo, che prevede un investimento iniziale di 3.2 miliardi di dollari anche se nell’arco di un decennio si parla di un progetto di svariate centinaia di miliardi di dollari, dovrebbe diventare operativo entro un paio d’anni.
Al momento recitano la parte degli scontenti i gruppi ambientalisti che non vedono di buon occhio l’assalto a una delle ultime zone incontaminate del pianeta. In ogni caso il petrolio è destinato ad esaurirsi, meglio investire nelle energie rinnovabili piuttosto che spendere queste somme per andare a spremerne le ultime gocce nei luoghi più remoti del pianeta: questa la principale argomentazione dei detrattori. Ragionamento senz’altro condivisibile, ma decisamente fuori dalle logiche della politica internazionale.