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All’epoca della sua uscita nel 2004, il film-documentario Super Size Me lasciò molte persone a bocca aperta (e a stomaco chiuso). Sotto lo sguardo impietoso della telecamera, il realizzatore del film, Morgan Spurlock, sperimentò su se stesso i risultati di una dieta devastante: 30 giorni di colazioni, pranzi e cene a base di alimenti preparati e offerti dalla catena fast-food Mc Donald’s. L’aumento incredibile di peso e di glicemia furono solo alcuni degli effetti di questa dieta. Il fegato del coraggioso film-maker, dopo solo un mese di “trattamento”, arrivò al limite della sopportazione e persino l’umore ne risentì in peggio, lasciando Spurlock in uno stato di depressione avanzata. Fornendo una veduta trasversale delle abitudini alimentari americane, una parte dell’interessante documentario si concentra anche sulle mense scolastiche e sulla qualità di questo servizio in varie high schools. Il campione di ragazzi scelto dal regista rivela un’impressionante mancanza di cultura alimentare: la diffusione di cibo spazzatura nei luoghi dove i ragazzi dovrebbero ricevere un’educazione, che riguarda anche il mangiare bene, è realmente incontrollata. Ma l’America non è poi così lontana. Secondo Coldiretti il 41% dei bambini italiani è ora dipendente dal cibo spazzatura. Ad aggravare il quadro, il 23% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente frutta e verdura. I ricercatori dello Scripps Research Institute (Florida) hanno dimostrato che i cibi poco salutari creano dipendenza proprio come sigarette e droga, mettendo in moto un meccanismo di stimolazione dei neuroni della gratificazione, per cui si creano delle crisi di astinenza quando tali cibi vengono a mancare. Gli scienziati hanno sperimentato una dieta di bacon e torte al cioccolato su cavie da laboratorio che, dopo poco tempo, hanno sviluppato una vera e propria dipendenza ai cibi proposti: nemmeno una scossa elettrica era più in grado di tenerli lontani dai loro grassi quotidiani. E il Ministero della Salute conferma che “il riscontro statistico non lascia dubbi: sovrappeso e obesità in età evolutiva non sono certo un fenomeno raro, considerando che nel nostro Paese nel 1999-2000 la percentuale di bambini ed adolescenti (per un campione di età compresa tra i 6 ed i 17 anni) in sovrappeso raggiunge circa il 20%, mentre è pari al 4% la quota degli obesi. Il problema interessa soprattutto la fascia di età 6-13 anni, e predilige i maschi rispetto alle coetanee del gentil sesso”. La fascia 6-13 anni, quella più interessata dal fenomeno dell’obesità, copre una buona parte dell’età dell’obbligo scolastico e, quindi, dell’età delle mense. L’Associazione nazionale della ristorazione collettiva e servizi vari (Angem) ci dice che nelle mense scolastiche italiane ogni giorno consumano il pranzo 1,6 milioni di bambini tra elementari e materne. Una buona percentuale dei bandi emessi per coprire questi servizi mensa è stato aggiudicato con il criterio del massimo ribasso, e cioè pagare il meno possibile. Corriamo quindi, nelle mense scolastiche italiane, di vedersi materializzare l’incubo “super size me”? La dott.ssa Loredana Radeghieri, dietista, ha redatto i menù delle mense di asili nido e scuole materne comunali di Reggio Emilia: “da anni, soprattutto negli asili, si tiene conto del fabbisogno dei bambini e ci si impegna, anche a livello educativo, per sottolineare l’importanza dell’alternare i vari alimenti. Certo è che un buono stile alimentare deve accompagnarsi a un buono stile di vita”. Rossella Soncini, Responsabile Area Emilia Ovest di CIR, cooperativa che fornisce numerose mense scolastiche emiliano-romagnole, aggiunge che “i criteri nella preparazione dei pasti per le scuole seguono una filiera di controlli rigorosa e certificata. Sicurezza, tracciabilità e qualità delle materie prime sono alla base delle proposte alimentari, a cui si aggiunge un intenso lavoro dello staff di nutrizionisti di CIR food per comporre menù sani e gustosi, rispettosi delle linee guida delle autorità preposte. Nell’offerta rivolta alle scuole particolare attenzione è riservata all’educazione alimentare, con iniziative di sensibilizzazione che vanno oltre la preparazione e distribuzione dei pasti per coinvolgere non soltanto i ragazzi, ma anche i genitori”. Uno dei principali presupposti nella preparazione del menù di una mensa scolastica è il rispetto delle necessità caloriche, proteiche, vitaminiche e di sali minerali delle varie età, e delle varie costituzioni dei bambini. Spulciando tra i menù si prova un certo conforto valutando l’attenzione con la quale gli addetti organizzano l’alimentazione dei più piccoli. Una pranzo composto da riso con piselli (100 gr), sogliola (80 gr), carote (200 gr), macedonia (200 gr) e pane bianco apporta circa 700 Kcal. Tra i sei e i dieci anni il fabbisogno calorico di un bambino, con le dovute varianti di costituzione e sesso, si muove tra le 1600 e le 2300 Kcal. Si pensi che 100 gr circa di wafer ricoperto al cioccolato significano qualcosa come 500 Kcal: un pranzo come quello descritto è quindi ideale in termini calorici. Ma non si tratta, evidentemente, di una semplice questione di calorie. Le merende industriali, le caramelle e le bibite gassate che i bambini più o meno grandi trovano ogni giorno sulla loro strada sono composte quasi unicamente da zuccheri semplici, che non dovrebbero superare il 15% dell’insieme di principi nutritivi assunti nella giornata. Il pericolo sembra quindi venire da fuori più che da dentro le mense: il tentativo di alimentarsi in modo adeguato assume a volte le caratteristiche di una lotta quotidiana contro i messaggi sbagliati di un contesto che dimentica spesso il valore dell’alimentazione. E’ Claudio Toso, direttore soci di Coop Nordest, che conferma: “nelle scuole e nelle mense scolastiche esiste una cultura dell’alimentazione, che è stata costruita nel tempo da Amministrazioni e dietisti. La vera battaglia è fuori dalle scuole: ci deve essere chi fa formazione, ma il consumo corretto deve continuare nelle famiglie. Da anni Coop sta promuovendo attività che spaziano dalla conoscenza del prodotto alle scelte alimentari e, parallelamente all’educazione al consumo, sta creando una linea di prodotti per bambini che risponda a criteri salutari, dicendo no agli zuccheri e ai conservanti. Le difficoltà si incontrano perché il gusto comune ormai si è abituato al prodotto industriale tradizionale”. Le abitudini alimentari si sono create nel tempo, anche attraverso il martellamento pubblicitario. E’ opinione piuttosto comune che i panini di un fast food non sono di aiuto nel mantenere l’equilibrio della dieta di un bambino o di un ragazzo, ma la spesa in pubblicità delle grandi catene di produzione (Mc Donald’s spende circa due miliardi di dollari all’anno) fa trovare in situazione di svantaggio chi lavora per stimolare un consumo alimentare consapevole. E sono tanti.