
La nuova frontiera dei consumi? Secondo dati Coldiretti, per esempio, adottare una mucca: nel 2010 oltre centomila italiani hanno scelto di seguire e partecipare direttamente al processo produttivo dell'azienda agricole condividendo rischi e opportunità.
di Agnese Spinelli
Umberto Bigi ha la voce roca, le mani grandi e forti. Parla solo dopo aver riflettuto sulla domanda e quasi esclusivamente di lavoro. Ha gli occhi azzurri, che risaltano sulla pelle segnata dal sole, profondi, velati da una sorta di arrendevolezza stanca. L’ho conosciuto un giorno per caso, di ritorno da un pranzo nei dintorni di Casina, fermandomi nel suo allevamento di chianine, abbarbicato sulle scoscese montagne reggiane. Per due ore Bigi, in quell’occasione, raccontò a me e ai miei amici come funzionava l’allevamento, le fatiche e i successi, la soddisfazione che quel lavoro gli dava, la bellezza del rapporto con gli animali.
Un allevamento curato nei minimi dettagli, già d’eccellenza dopo pochi anni dalla realizzazione, dove famiglia e lavoro sembrano andare di pari passo. Protagoniste assolute del panorama queste grandi vacche bianche, placide e muscolose, dai grandi occhi acquosi, i due tori – enormi – le mucche gravide, i vitellini nascosti dietro gli zoccoli delle madri. Qualche mese dopo ricontatto Bigi per un’intervista: vorrei raccontare la sua esperienza, la passione e la fierezza che mette nel presentare la sua azienda, la fatica e la testardaggine che stanno in quelle grandi mani che, meglio delle parole, lo raccontano.
Lo trovo sempre molto preso da ciò che fa, sempre legato ai suoi animali, alla terra, alla vita che ha scelto, ma stavolta più stanco, demoralizzato. Dal presente difficile, da un Paese che non garantisce la crescita ma abbruttisce chi ha voglia di lavorare nel buio della burocrazia, dalla mancanza di contatto e rispetto con la natura. “Sono sempre stato molto ottimista ma oggi faccio fatica ad esserlo. Vedo che la qualità, in Italia, si è persa, che chi lavorava bene ha perso il lavoro, i giovani ci credono meno, fanno altro. Abbiamo perso la nostra terra. Ho da poco dovuto riprendere qui a lavorare un vecchio collaboratore in pensione perchè non trovavo la manualità e le competenze che servono”.
Eppure quando parla del suo lavoro lei sembra soddisfatto…
“Rifarei tutto quello che ho fatto perchè nella vita ho fatto ciò che mi piaceva, credendoci. Anche a dispetto di mia mamma che ha vissuto con dispiacere il fatto che non sia diventato un dipendente pubblico come i miei fratelli. Me lo ha rinfacciato fino a novantatre anni. Nonostante questo mi rendo conto che i grandi sforzi non sono stati ripagati, che chi lavora bene non è aiutato, che non si valorizzano le imprese. Dove prima c’erano centinaia di allevamenti siamo rimasti in pochi. Non è bello vedere il proprio mondo che viene abbandonato…”.
Crede che si possa uscire da questa situazione?
“Sarei curioso di sapere cosa pensano i giovani del futuro… Ho paura che non si rendano ben conto di ciò che succede. Penso comunque che si debba fare un passo indietro: ricominciare a scegliere la qualità, cercare un equilibrio ed un rispetto con il mondo che oggi siamo solo capaci di sfruttare”.
Parliamo di qualcosa di bello… un ricordo particolarmente piacevole. O un motivo per cui ha scelto questo lavoro. (Per Umberto Bigi questo è solo il secondo lavoro, più simile ad un hobby che ad une vera e propria attività. Da 50 anni infatti realizza impianti zootecnici).
“Ho iniziato perchè amo molto gli animali. Vengo da una famiglia di allevatori e da quando ho 5 anni mi interesso di questo. Seguivo mio papà nelle stalle, imparavo cosa c’era da fare: da lì è nato un legame forte con l’animale. Mi diverte chi si spaventa nel sapere che poi saranno uccisi. Ciò che deve spaventare è vedere in che condizioni vivono altrove, dove sono trattati solo come numeri, sfruttati. Qui – forse è difficile da capire per uno che non prova questa sensazione – c’è un rapporto di rispetto. Quando chiamo una mucca lei mi risponde e mi segue. Se qualcuna di loro ha un problema cerca il mio aiuto. Ecco, un bel ricordo è questo: di ritorno dall’officina, faccio sempre il giro dell’allevamento. Una sera particolare mi si avvicina questa mucca, con un lamento strano, non il solito. Mi segue mentre faccio il giro. Capisco che c’è qualcosa che non va e la seguo dove mi vuole portare. Aveva appena avuto un vitellino, nel bosco, che era intrappolato in una buca. Chiedeva il mio aiuto per salvarlo…”.
Come si descriverebbe?
“Uno che ha sbagliato tutto nella vita. (Lo dice con fierezza. Impossibile credergli…). Diciamo che per quello che ho lavorato non è arrivato un ritorno adeguato. Ma ripeto, ho fatto ciò che amavo fare, e questo è già un grande risultato. Ho sempre saputo chi sono: uno molto bravo a lavorare ma poco ad amministrare. Pratica e teoria non sono quasi mai qualità di una stessa persona. Io ho grande inventiva, mi piace mettermi in gioco, fare le cose, sporcarmi le mani…”.