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Interviste

Perseguire l’onestà intellettuale

By 26/06/2010Marzo 15th, 2023No Comments
"Imputato, il dito più lungo della tua mano è il medio quello della mia è l'indice, eppure anche tu hai giudicato" (Sogno numero 2 - Fabrizio De Andrè)

"Imputato, il dito più lungo della tua mano è il medio quello della mia è l'indice, eppure anche tu hai giudicato" (Sogno numero 2 - Fabrizio De Andrè)

di Maria Chiara Marchi

Incontro il Presidente del Tribunale di Reggio Emilia in una mattina di timido sole. Il Tribunale – almeno quello di Reggio – è un luogo angusto, dai toni scuri. Percorro corridoi illuminati dai neon perchè gli uffici hanno le porte chiuse e non filtra un raggio di sole. Poi arriva lei che squarcia il cupo con un grande sorriso e la sua calda cadenza napoletana. Immagino quante sofferenze siano passate per quei corridoi e cerco di immaginare quanta forza sia necessaria per dedicarsi ad un lavoro come quello di Rosaria Savastano. La responsabilità verso la collettività, il dovere di assorbire tutti i malumori e le difficoltà dei colleghi… E quel sorriso sincero che toglie ogni dubbio: lucida passione. Esco dall’apnea. Si può iniziare.

Mi parli un po’ di Lei.. “Sono napoletana, ho vissuto ad Ascoli e dopo la laurea ho fatto il concorso vincendolo subito. Dopo un anno e mezzo di apprendistato sono stata Giudice civile presso il Tribunale di Ferrara per sedici anni e, per altri quattordici, a Bologna, sono stata Giudice civile presso la Corte di appello. Dall’ottobre 2009 sono Presidente di sezione del Tribunale di Reggio, oggi con funzioni di Presidente (in assenza del titolare). Ma non sono riuscita a staccarmi da Ferrara, una città stupenda, a misura d’uomo. Così ho deciso di mantenere la mia residenza a Ferrara e stare qui a Reggio Emilia solo nei giorni lavorativi mentre il week end posso godermi la mia casa a Ferrara dove mi aspettano mio marito (anche lui giudice a Roma durante la settimana), i miei gatti e i libri di cucina che mi piacerebbe aprire più spesso. Il guaio è che non riesco mai a staccare dal lavoro veramente…”.

Qual è la Giusta Giustizia?
“E’ quella esercitata da un giudice equilibrato che è capace di rimanere equidistante, che ha molta pazienza, molta umiltà e che rassicura. Il lavoro del giudice è molto duro: qualsiasi sia la sua decisione renderà felice qualcuno e butterà nello sconforto e nella disperazione qualcunaltro. Sempre. Questo implica un grande sforzo decisionale che prima della riforma del ’90 era condivisa con altri giudici mentre ora è accentrata in uno solo. La giustizia non è come la matematica, ci sono delle interpretazioni di leggi che possono essere tradotte in modi diversi… La morale è che anche un giudice può sbagliarsi ma se lo fa è in assoluta buona fede, perchè dietro ogni decisione c’è un grosso studio, un confronto tra colleghi e un continuo ragionamento”.

Qual è il peso che si porta un giudice?
“Ecco, appunto. Il lavoro del giudice è affascinante e sgradevole insieme. Perchè anche dopo aver preso una decisione rimane un margine di dubbio. Il peso è la consapevolezza di poter aver sbagliato”.

“Una volta un giudice come me giudicò chi gli aveva dettato legge. Prima cambiarono il giudice e subito dopo la legge” scriveva De Andrè in Sogno numero 2. Quali sono le fragilità di chi ha il potere di decidere?
“E’ un lavoro che non ti consente mai di staccare. Questo è l’aspetto più usurante nella vita di un giudice, anche quando sei a casa, pensi e ripensi a quello che dovrai fare e come… E’ totalizzante e impedisce una vita sociale”.

In cosa l’ha aiutata essere giudice?
“Ad essere più costante. E l’apprezzamento ricevuto dai colleghi mi ha permesso di essere più orgogliosa di me”.

Chi è il suo personaggio di riferimento?
“Mio padre. E’ avvocato ed è stato lui a trasmettermi la passione per questo lavoro, attraverso la testimonianza diretta di una grande onestà e intelligenza”.

Nel suo ambiente si sente la ricerca del Bene? C’è la missione morale?
“Sì e per perseguirla dobbiamo sentirci molto vicini. Il Presidente di Tribunale deve avere la possibilità di far scaricare su di sé le tensioni e il malcontento dei colleghi per permettere loro di sentirsi uniti e di lavorare bene”.

Il complimento che non scorderà mai?
“Quando un collega più grande di me, con una carica più importante della mia, raccontando dell’esperienza di lavoro fatta insieme disse – a distanza di molto tempo – che lavorare con me fu l’occasione per essere mio Uditore (e quindi allievo). Fu un grande, inaspettato complimento”.

La situazione più difficile vissuta indossando la toga?
“In una causa matrimoniale la madre aveva accusato il padre di maltrattamenti sessuali sulla figlia. Quando ascoltai la bambina lei mi chiese di posare la penna perchè quello che mi avrebbe detto di lì a poco non doveva essere scritto. “Il mio papà non mi ha mai fatto niente ma se la mamma sa quello che le sto dicendo mi picchia”. Non dissi niente in accordo con la bimba… Come finì? Bene, per fortuna il padre fu assolto”.

La solitudine è una componente imprescindibile della Sua professione?
“Ne costituisce il tratto saliente. Anche se ci si confronta con i colleghi la decisione finale è tua e lì sei solo”.

Mafia, ‘Ndrangheta, Camorra… C’è cauto pessimismo per il futuro?
“Sì. Si sta facendo molto, ma è una lotta continua. L’educazione parte dalle famiglie ma la trasparenza di questi valori deve permeare tutta la società”.

Che profumo ha la sua infanzia?
“Un profumo di rose. Ho avuto una bellissima infanzia, sono figlia unica ed ero molto coccolata. Poi a 17 anni è mancata la mamma, mio padre era giovane e si è risposato con una donna davvero perbene… Ma non era la mia mamma”.

Il consiglio di vita alle nuove generazioni?
“Perseguite l’onestà intellettuale”.