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In Italia nessuna “società europea”

Di 28/05/2010Marzo 15th, 2023No Comments

europadi Patrizia Spaggiari

Tra le 431 società che hanno lo status di ‘Società europea’ (SE) nessuna è italiana. Un dato sorprendente che emerge da uno studio effettuato da poco richiesto dalla Commissione europea, che ha appena avviato una consultazione pubblica per verificare il funzionamento dello strumento che dà la possibilità di riorganizzare le attività transfrontaliere sotto un’unica etichetta europea alle società che operano in più Stati dell’UE e per definire meglio eventuali cambiamenti.

Un’azienda con status di Società europea dispone di un regolamento particolare, che le consente di operare all’interno di un quadro giuridico stabile, di ridurre i costi interni dovuti allo svolgimento delle attività in diversi paesi e di essere quindi più competitiva sul mercato interno ed internazionale. Premesse prioritarie per qualunque impresa con legami extra-nazionali. Delle 431 società che dispongono, sul territorio comunitario, dello status di “Società europea” nessuna è operante in Italia. Dal 2004 – anno di emanazione dello Status – ad oggi troviamo fra gli Stati con più “Società europee” la Repubblica Ceca con 137 imprese e la Germania con 91, oltre alle altre 200 sparse in 18 Paesi UE come Francia, Gran Bretagna o Austria, ma anche Belgio o Cipro. Lo strumento è utilizzato soprattutto nel settore dei servizi: 70 società fanno parte dei servizi assicurativi o finanziari, 31 dell’immobiliare, 24 del commercio di veicoli, ma anche 26 imprese manifatturiere, e poi costruzione, elettricità e gas, trasporti. Tra gli esempi di successo, le tedesche Allianz, BASF, Porsche, Fresenius e MAN, la francese SCOR, la lussemburghese Elcoteq e l’austriaca Strabag.

Quali i principali vantaggi? Possibilità di trasferire la registrazione in un altro Paese, immagine europea, semplificazione della struttura gestionale, regolamentazione più agevole, possibilità di realizzare una fusione transfrontaliera. L’Italia, il Paese con il maggior numero d’imprese in Europa, spicca per la sua assenza insieme a pochi (e piccoli) Paesi come Lituania, Malta o Grecia. Perché lo strumento ha riscosso notevole successo in alcuni Stati ma stenta a diffondersi in altri? Questa è la domanda che pone a tutti gli operatori la Commissione europea, per valutare la necessità di eventuali cambiamenti alle regole in vigore e facilitare la partecipazione allo strumento in tutta l’Unione europea.

Lo strumento esiste da cinque anni e, in base al suo regolamento, deve essere valutato adesso. La relazione della Commissione europea, che sarà basata sui risultati dello studio appena pubblicato e su quelli della consultazione in corso (http://ec.europa.eu/internal_market/company/se/index_en.htm) aperta fino al 23 maggio, è attesa per la fine dello stesso mese. I problemi pratici ai quali hanno dovuto far fronte le società per creare o gestire una SE verranno presi in considerazione dalla Commissione per definire eventuali cambiamenti nella direzione di un miglioramento complessivo dell’attuale quadro giuridico. Il caso dell’Italia, visti i dati, dovrà essere portato al centro dell’attenzione.

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  • Posso dire che la cosa non mi stupisce affatto. La Società Europea ha infatti una natura ibrida che pone molti problemi di raccordo con le singole discipline nazionali. E per un’impresa di medie dimensioni come quella italiana, una facile “compliance” con la disciplina nazionale è più importante rispetto ad avere una pseudo livrea europea priva però di vantaggi immediatamente tangibili, anche perché le società medio piccole spesso non hanno intensi scambi con tutto il resto dell’Europa ma magari solo di un altro paese membro. Ne consegue che ad esempio per una ceramica che ha stretti rapporti con la germania di fatto sia molto più efficiente avere come capogruppo una società di diritto italiano e magari costituire una controllata di diritto tedesco (es. una GmbH), piuttosto che adottare la forma di società europea.
    Senza contare che in base alla libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali e dei servizi oggi un soggetto italiano può scegliere validamente tutti i tipi societari vigenti nei paesi membri per operare in italia. Quindi se la mia azienda ha come unici clienti gli inglesi, posso direttamente costituire una “limited copany” (ltd.) e operare dall’Italia.
    In altri termini la società europea rappresenta un tentativo di uniformare gli ordinamenti societari degli stati membri, il che appare un po’ utopistico, in primis perché questa esigenza di uniformità non è politicamente sentita, in secondo luogo perché la storia del diritto societario ci dimostra, basti pensare al caso del Delaware negli USA, che una competizione tra ordinamenti è tendenzialmente positiva (un famoso paper di Roberta Romano di Yale parlava in proposito di “race to the top”) e che è il mercato in definitiva a scegliere autonomamente quale forma societaria prediligere.
    Un tema che, in ogni caso, apre prospettive decisamente interessanti.