Skip to main content
Interviste

La credibilità di un impegno

Di 30/04/2010Marzo 15th, 2023No Comments
fango Dottore ridammi euforia | se nuoto nel fango, è solo colpa mia. (Verdena)

fango Dottore ridammi euforia | se nuoto nel fango, è solo colpa mia. (Verdena)

di Francesca Meschieri

Don Luigi Ciotti non era nemmeno maggiorenne quando, con il Gruppo Abele, iniziò la sua battaglia contro le ingiustizie sociali schierandosi dalla parte dei più deboli. Un percorso lungo tutta la vita e che lo porta oggi nei Teatri, nelle Scuole e nelle Piazze per parlare alla gente del fenomeno che lui stesso definisce “una delle piaghe più dolorose che affligge il Paese”: la mafia. Don Ciotti parla chiaro e non fa mai riferimento alla politica ‘del gossip’ e degli scandali. Per lui la politica è ancora quella che Paolo VI definiva “la più alta ed esigente forma di carità che esista”: per il fondatore di “Libera” deve tradursi nel servizio, soprattutto verso i più vulnerabili, perché quando essa si allontana dalla strada e dai bisogni reali della gente non è già più politica, bensì compiacenza, collusione e corruzione.

Ascoltando le parole di Don Ciotti, direttore tra l’altro della rivista Narcomafie, si ha la sensazione che il fenomeno si sia trasformato in qualcosa di diverso, quasi un modus operandi che ha sempre meno a che fare con gli spargimenti di sangue e sempre di più, con gli investimenti economici. Il motivo di questa inversione di rotta è facilmente comprensibile, ma altrettanto difficile da indagare, soprattutto se barricato dietro un’apparente forma di legalità.
Se è vero che combattere la mafia significa infatti incarcerare gli assassini, è altrettanto vero che i crimini non si commettono soltanto nei quartieri malfamati e nei vicoli angusti delle città più impenetrabili del Sud. I veri affari si fanno con le Banche, con gli investimenti nell’alta Finanza e con gli Enti Pubblici, spesso colpevoli di concessioni e appalti poco trasparenti: ne è un esempio la recente polemica sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nei lavori di sviluppo urbanistico di Milano, in vista della prossima Esposizione Universale del 2015. E mentre l’Italia si è scoperta fragile anche nel cuore del suo sottosuolo, deve forse rimproverare se stessa per gli abusi di cui si è resa responsabile.

“Il fenomeno mafioso si può sconfiggere, e come tutti i fenomeni avrà un declino inesorabile” diceva Falcone: che effetto le fanno ancora oggi, le parole del magistrato siciliano vittima della mafia ma soprattutto icona, della lotta contro di essa? “L’indignazione non basta più, c’è bisogno di rompere il silenzio con la forza di una proposta che sia concreta, attuabile e perseguibile. In Italia abbiamo bisogno di sviluppare una maggiore coscienza collettiva, che parta dall’indignazione verso le ingiustizie, ma che diventi il prima possibile impegno: dobbiamo essere consapevoli che quegli stessi proiettili che hanno ucciso le vittime della mafia, colpiscono anche noi, perché soltanto dimostrando una vera e partecipata solidarietà, si può attuare il buon governo di un Paese”.

Come sempre si dice il futuro di un Paese è in mano alle generazioni che lo guideranno domani: il paradosso è che i giovani italiani sembrano non solo sempre meno interessati alle dinamiche sociali che li circondano, ma soprattutto indignati dalla politica. Significa che l’allievo ha poco da imparare dal maestro? “In questo senso, è giusto pensare al ruolo importantissimo che riveste la scuola, dove i ragazzi imparano fin da subito il senso di vivere in comunità: educare significa insegnare loro l’essenza del vivere rispettando le regole. Il chè non significa omologarsi, anzi. I giovani dovrebbero imparare ad usare la loro creatività, le idee e la fantasia al servizio di un Paese che un giorno, sarà migliore anche grazie a loro. Questa crisi che stiamo attraversando non è soltanto economica: l’Italia è in un momento di profonda crisi politica ed etica, una vera perdita di valori comuni da cui possiamo risollevarci, ma modificando prima di tutto l’approccio politico delle Istituzioni, che dovrebbero operare con maggiore chiarezza e trasparenza, sia negli intenti che nelle azioni”.

Sostituendo la minaccia con la corruzione il fenomeno mafioso sta quindi rapidamente cambiando faccia, imparando a parlare meno di onore e più di economia: come si combatte, questa “nuova” mafia? “Le faccio un esempio: c’è una Legge, introdotta nella Finanziaria del 2006, che prevede l’uso sociale dei beni sequestrati alle famiglie mafiose e in questo momento vediamo quante brillanti operazioni sono state portate a termine dalle Questure, grazie all’impegno di Polizia e Carabinieri. La nostra speranza è quella che lo Stato si impegni davvero per essere il primo garante della giustizia e che le consenta di operare nella più trasparente legalità, anche accelerando i tempi per restituire alle persone quello che la mafia aveva tolto loro. Paolo Borsellino, durante il maxi processo di Tangentopoli, in un momento in cui tutta l’attenzione dei media era rivolta alla lotta alla criminalità organizzata, disse una frase che non dimenticherò mai: ‘l’impegno contro la mafia, non può concedersi pausa alcuna, il rischio è quello di ritrovarsi subito al punto di partenza’. Questo pensiero ha sempre influenzato molto il mio lavoro, perché di questo si tratta: lotta alla mafia significa lavorare costantemente e spendere tutte le proprie energie in difesa della legalità, senza scendere ad alcun compromesso. In questo senso, persone come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, non smettono mai di essere un esempio”.

Correggio le ha tributato la cittadinanza onoraria per il suo impegno a favore della giustizia e della legalità: che significato ha per lei questo riconoscimento e che legame la unisce al territorio emiliano? “Come la definì Edmondo Berselli, l’Emilia Romagna è un po’ ‘il Sud del Nord ed il Nord del Sud’: è una delle Regioni più attive, non solo economicamente, ma anche nel dibattito sulle tematiche sociali e ben coordinata sul fronte della lotta alla criminalità. Penso al lavoro di tanti imprenditori e di piccole e medie imprese che hanno fatto la storia economica di questa regione: hanno bisogno di poter contare ancora sull’appoggio dello Stato, che li aiuti a ritrovare fiducia nel proprio futuro”.

Non esiste una ‘ricetta antimafia’ che ognuno di noi possa appuntarsi, fatta di ingredienti semplici e facilità di preparazione? “Nessuna delle cose che vi sto dicendo è di facile attuazione e può sembrare banale, ma è soltanto con l’impegno di ogni singolo cittadino che le ingiustizie sociali potranno un giorno essere superate: forza, responsabilità e speranza. è proprio quello che auguro ai giovani, di innamorarsi della vita. Vorrei usare le parole di Bobbio che diceva ‘la Democrazia vive di buone leggi e buoni costumi’ e mi permetto di aggiungere, anche di diritti, doveri e bisogni: Libera è nata con questo obiettivo, che si traduce nel recupero di parole come corresponsabilità e solidarietà di intenti. Un investimento, il nostro, che deve guardare al futuro di un Paese in cui giustizia, legalità e chiarezza siano il perno attorno a cui tutto ruota”.

A proposito di questo, mi viene in mente un percorso vicino al suo, tracciato da un uomo che ha investito gran parte della sua vita per l’arte e in particolare per il Teatro di denuncia alla mafia, che oggi è entrato in politica: Giulio Cavalli. Un esempio di questi ‘tracciati di legalità’? “Infatti, il senso è proprio questo, Etica ed Estetica si assomigliano: mentre la prima è la ricerca del bene, la seconda è quella del bello. Due concetti diversi, ma simili e soprattutto virtuosi.
Apprezzo molto il lavoro di Cavalli e spero che prosegua su questa strada (il 26 Febbraio scorso Don Ciotti ha parlato proprio della dimensione finanziaria delle mafie, ospite del Teatro Nebiolo, diretto dallo stesso Cavalli ndr)”.

Il 20 Marzo si è svolta a Milano la 15° Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie: quale messaggio intendono lanciare i familiari delle vittime? “Chiedono innanzitutto impegno: quell’impegno fatto di solidarietà e azioni concrete che solo il rispetto della legge è in grado di garantire. Con molti di loro restiamo in stretto contatto, una di queste è Rosaria Schifani, moglie di Vito Schifani, membro della scorta di Giovanni Falcone e caduto nella strage di Capaci: ricordo che al funerale delle vittime disse qualcosa di importantissimo riferita agli assassini del marito: uomini senza onore avete perduto. Chiudendo cinque bocche, ne avete aperte 50 milioni. Questo è il senso del nostro impegno, ovvero far sì che quelle bocche si aprano davvero tutte insieme, per gridare che l’Italia vuole essere subito e ad ogni costo, libera dalle mafie”.