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Questione di naso

Di 24/01/2010Marzo 15th, 2023No Comments

1010393179_2a3d6633c1di Federica Imbrogli (Kaiti expansion)

Stando alla ricerca, oggi sappiamo che l’olfatto ha superato l’udito nella scala d’importanza dei 5 sensi. Gli odori, o meglio, i profumi arrivano direttamente al cervello senza intermediari e con l’irruenza di una scarica elettrica. Proprio per questa sua caratteristica l’olfatto si distingue dagli altri sensi assumendo un’importanza ancora maggiore, e con effetti miracolosi sull’apparato mnemonico. Implicazioni sul marketing delle imprese? Assolutamente sì. In America da anni si praticano strategie sensoriali che ambiscono ad un coinvolgimento emotivo – non più solo fisico quindi, ma anche psicologico – di chi consuma. Ed ecco che gli Hotel Sheraton avvologono i clienti con odore di gelsomino, chiodo di garofano e fico, nei grandi magazzini come Bloomingale’s in ogni reparto viene diffuso un aroma diverso: talco nell’area neonati, cocco nel reparto mare.

In alcune aziende giapponesi addirittura si profumano gli uffici con precisi intenti strategici: essenza di limone al mattino per stimolare i dipendenti, odore di fiori nel pomeriggio per prolungare la resistenza, profumo di bosco alla sera per trasmettere una sensazione di ottimismo. I ricercatori hanno dimostrato che l’essere umano è capace di individuare e catalogare ben 10mila odori differenti, ma soprattutto – ed è questa la cosa che interessa di più il mercato – la gente sembra ricordare più gli odori che le immagini: gli esperimenti condotti indicano che a distanza di un anno, un odore viene riconosciuto in modo nitido nel 65% dei casi, mentre davanti a una foto non si va oltre il 50%. L’immagine – eroina indiscussa di pubblicitari e uomini di marketing – cede il passo al senso più animale rimasto in dotazione all’uomo. Come una massa di Jean-Baptiste Grenouille, protagonista straordinario del celebre romanzo di Patrick Suskind, il popolo consumer si aggira per negozi, centri commerciali guidati nell’acquisto dall’istinto dei propri sensi, dalle sensazioni e dai ricordi connessi alle esperienze in qualche modo collegate al prodotto o al servizio oggetto delle proprie attenzioni.

E la razionalità del processo di acquisto? Superata. Le teorie degli anni ’60 che volevano il consumatore come un individuo razionale e capace di prendere decisioni considerando i costi e i benefici delle proprie azioni sembrano essere state completamente smentite, o per lo meno relegate ad una delle dimensioni dell’individuo (la ragione), al quale appartengono anche emotività, istinto e creatività. Più che vendere un prodotto, dunque ci si trova spesso a vendere l’esperienza collegata a quel prodotto: dietro l’acquisto di un’automobile c’è l’esperienza della guida, un bagnoschiuma o uno shampoo per capelli – emotivamente parlando – si traducono nell’esperienza di fare la doccia o di lavarsi i capelli con quel determinato prodotto. Il piccolo forno di periferia e il grande ipermercato sembrano condividere lo stesso segreto: il suo nome è brand experience, far vivere un’esperienza. E quella esperienza olfattiva è senza dubbio una delle componenti di successo del marketing esperienziale, concetto consacrato da Bernd Schimtt, che individua varie tipologie di esperienza per promuovere un prodotto: sensoriale, emozionale, cognitiva, fisica e relazionale.

L’utilizzo degli odori a fini commerciali è un trend che si sta affermando molto velocemente anche in Italia: grandi magazzini diffondono profumi di campo per indurre nei propri clienti un’andatura più rilassata, congeniale all’acquisto; agenzie immobiliari diffondono invitanti fragranze di caffè o di prodotti da forno nelle case da mostrare ai potenziali clienti, un marchio come Sony, usa diffondere nelle boutiques di tutto il mondo un aroma di mandarino e vaniglia, che la mente dell’acquirente (più o meno consciamente) lega in modo inequivocabile all’esperienza del punto vendita. Attenzione però a non confondere il marketing olfattivo con la profumazione ambientale. Il primo infatti agisce sull’attenzione del consumatore con uno scopo preciso, che tiene conto di un momento, di un luogo e di una durata precisi e coerenti con gli obiettivi di marketing. Personalissime soluzioni olfattive che da qualche anno possono essere registrare al pari di un logo. La registrazione del marchio olfattivo è una realtà assolutamente praticabile, che presenta solo la difficoltà di istituire una relazione tra un segno olfattivo ed un segno grafico. Ma per risolvere questo problema a soccorrerci è la lingua italiana, con una figura retorica del significato amica dell’immaginazione: la sinestesia. Per tutto il resto, ci vuole naso.

Breve viaggio nel marketing olfattivo, l’ultima frontiera nel campo del marketing sensoriale. Perchè se pensavate di puntare tutto sull’emozionante raccolta di successi della Callas da diffondere nel vostro punto vendita… sappiate che non è abbastanza!