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I titani che spaventano il mercato

Di 09/01/2010Marzo 15th, 2023No Comments

dubaidi Federico Parmeggiani

In questi giorni in cui le borse sono scosse dai timori provenienti da Dubai, pare opportuno fare chiarezza su un soggetto del mercato di cui si conosce relativamente poco, ma che è capace di incidere notevolmente sulla finanza mondiale e proviene in massima parte dal lontano o vicino oriente.

Si tratta dei cosiddetti “fondi sovrani”, in inglese sovereign wealth funds (SWF), che sono dei fondi di investimento che fanno capo direttamente ad una nazione ed hanno la funzione di investire il surplus monetario di tale paese in strumenti finanziari di vario genere (azioni, obbligazioni, derivati, etc.) oppure in altre attività immobiliari o imprenditoriali.

I primi furono costituiti intorno alla metà del XX secolo, ma solo dal 2000 in poi il loro numero e la loro importanza è accresciuta esponenzialmente. A tutt’oggi i fondi sovrani più attivi nei mercati sono quelli che fanno capo agli Emirati Arabi Uniti, alla Norvegia, al Kuwait, alla Russia e a Singapore anche se destano sempre più attenzione i diversi fondi sovrani costituiti dal governo cinese, ognuno investito di una particolare missione o area di intervento (China Investment Corporation, China National Social Security Fund, China-Africa Development Fund).

Questi mastodontici veicoli di investimento sono usati per arricchire i paesi d’origine, ma spesso sono anche un mezzo per assicurare il paese in questione da un rischio che potrebbe soffrire sul mercato. I fondi sovrani investono prevalentemente disavanzi provenienti dal gettito fiscale o riserve di valuta estera che lo stato ha in cassa, valuta che nel caso dei paesi del golfo proviene dall’esportazione di materie prime.

Questi fondi hanno iniziato a rivestire un’importanza cruciale nei mercati specialmente dallo scoppio della crisi finanziaria, in quanto, in un momento in cui tutti i principali attori della finanza (incluse le grandi banche) erano a corto di liquidità, essi potevano contare su un elevatissimo quantitativo di riserve monetarie pubbliche da investire.

Questa ampia capacità di fare acquisizioni sui mercati, unita al sensibile calo dei prezzi azionari, ha fatto temere un’ondata di scalate ostili tale da consentire a questi fondi di assumere il controllo di imprese chiave in diversi paesi occidentali.

Questo timore, perdurante tuttora, è inoltre accentuato dal fatto che i fondi sovrani dispongono già di partecipazioni consistenti in grandi banche d’affari americane, in gruppi bancari e assicurativi che svolgono anche attività retail, nonché in imprese-simbolo di varie nazioni, ad esempio la nostra Ferrari, partecipata al 5% dal fondo sovrano di Dubai. Quindi, il timore dei paesi occidentali riguarda in primo luogo l’eventualità che le imprese sulle quali poggiano le proprie economie nazionali, ossia le più sensibili a politiche economiche di interesse pubblico, sfuggano dall’area di influenza dei paesi d’origine per passare sotto al controllo di una nazione straniera.

Inoltre, i fondi sovrani presentano un basso livello di trasparenza riguardo la propria situazione contabile e lo stato dei propri asset, non essendo mai stati oggetto di una puntuale disciplina regolamentare internazionale.

Solo negli ultimi due anni si è discusso sull’opportunità per le economie occidentali di introdurre misure regolamentari (es. golden shares) volte a bloccare acquisizioni ostili e blindare così il controllo di alcune imprese di importanza strategica. Tale opzione, consentita in USA qualora l’acquisizione metta a repentaglio la sicurezza nazionale, è vista con sospetto in sede comunitaria, in quanto rappresenterebbe una spinta per gli stati membri verso tentazioni protezionistiche.

In ogni caso, nel settembre 2008 il Fondo Monetario Internazionale ha predisposto un codice di condotta volto a dettare dei requisiti minimi di trasparenza e stabilità per questi anomali soggetti di mercato, codice al quale i principali fondi sovrani hanno aderito.

Il peso dei fondi sovrani nei mercati aumenta di pari passo con quello dei paesi del medio e lontano oriente cui fanno capo. A tutt’oggi non si sa con certezza se e in che misura la crisi del settore immobiliare a Dubai inciderà sui fondi dei paesi arabi del golfo, si sa per certo però che i mercati occidentali dovranno sempre più abituarsi a fare i conti con questi titani di liquidità, il cui valore complessivo nel 2008 oscillava intorno ai 3,8 trilioni di dollari.