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Avete mai notato come non riusciamo più a smettere di parlare? Apriamo le bocche, picchiettiamo forsennatamente su qualsiasi tasto sia a portata di mano, con l’ossessione di dover dire qualcosa – sempre – per dimostrare di essere vivi.
Eppure, c’è differenza tra il dire la propria e l’avere qualcosa da dire. Lo dimostrano i dischi migliori dell’anno appena trascorso: musica di reazione a un mondo che si tinge sempre più di nero, dove la barriera tra personale e politico non ha più senso di esistere.

Neneh Cherry, Broken politics
Lasciatasi alle spalle il successo, Neneh Cherry continua a riallacciare i fili di una storia musicale straordinaria: Broken politics è un sussurro dove il lutto familiare siede accanto al racconti della giungla di Calais, la critica alla cultura delle armi trascolora nel free jazz, le battute rallentano e l’hip-hop innerva tutto quanto.

Riccardo Sinigallia, Ciao cuore
Fa quasi rabbia che uno come Riccardo Sinigallia sia rimasto quasi sempre nell’ombra. Pochi hanno la sua capacità di modellare il suono, di scegliere parole di intimità imbarazzante, di confezionare pop che è una continua sorpresa – come se tenere assieme i ricordi d’infanzia e un rabbioso omaggio a Federico Aldrovandi fosse la cosa più naturale del mondo.

Elza Soares, Deus é Mulher
La ferita dell’omicidio di Marielle Franco non si era ancora chiusa, e il Brasile vi ha versato sopra il sale dell’elezione di Jair Bolsonaro. Quello che sta succedendo al suo paese è troppo perché Elza Soares, a 87 anni, possa smettere di cantare: “La mia voce / la uso per raccontare ciò che si tace”, canta, e la foga in cui stravolge la musica popular brasileira a colpi di rumori e frenesie è semplicemente inaudita.