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Artista_ Beach House
Album_ 7
Etichetta_ Bella Union
Anno_ 2018
Un rollio leggero, e un’ascensione miracolosa: dalle nuvole scure a un improvviso squarcio di luce in pochi, tremolanti attimi. Ai Beach House non bastano che i secondi in apertura del loro folgorante settimo album per riassumere un mondo intero: un luogo di percezioni morbidamente alterate, dove l’elettricità ha la grana morbida dei sogni e le voci hanno la solennità immobile e maestosa delle statue. “C’è un posto in cui ti voglio portare, aiutami a dargli un nome”, il duo di Baltimora ha sussurrato nel corso degli anni.

I Beach House non sono certo i primi a cimentarsi con il dream pop: dai Cocteau Twins in avanti, sono quasi quarant’anni che centinaia di band in giro per il mondo improvvisano nebulose di voci e riverberi. La formula è ormai stantia, ma Victoria Legrand e Alex Scally sono tra i pochi a saperla variare quel tanto che basta a non ripetersi mai troppo.
Al settimo giro di valzer, il suono dei Beach House è diventato molto più fisico, spesso, quasi tangibile: l’elettricità ascensionale di Dark Spring, i turbinii vocali de L’Inconnue e la strana lucentezza metallica di Black Car ne sono solo gli esempi più evidenti. Una parte importante di merito va anche alla produzione di Sonic Boom – uno che, a partire dalla gloriosa epoca degli Spacemen 3, ha sempre maneggiato visioni alterate con grande maestria: questa volta si è trovato tra le mani un disco che voleva raccontare “la bellezza che sorge nell’avere a che fare con l’oscurità; l’empatia e l’amore che crescono dal trauma collettivo; il luogo che si raggiunge quando si accetta anziché negare”, e ne ha fatto meraviglie. Una band in stato di grazia, e un produttore in grado di dare nuovi colori a un suono già ampiamente codificato, hanno reso questo 7 uno dei dischi più stupefacenti degli ultimi anni.