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La verità è che abituarsi a questi tardi anni Dieci è difficile, specialmente per chi ha ereditato dall’adolescenza un certo modo rigido di separare il musicalmente accettabile dal contorno. Perché dev’essere un ex primo ministro a certificare la popolarità di un cantautore, biascicandone qualche verso in un video destinato alla viralità? Perché dovremmo pendere dalle labbra di un’autrice dal talento passabile, solo perché dal palco di un talent pontifica con la seriosità di una Marie Curie sul punto di aggiudicarsi il terzo Nobel?
Sono anni in cui cornici pacchiane rubano spazio a miniature preziose. Saremo retroguardia, ma la nostra classifica di fine anno non è fatta vertiginosi sguardi sul futuro: le vere meraviglie sono arrivate da artisti in giro da almeno vent’anni, arrivati dove sono ora a forza di intuizioni, svolte ed errori. Ecco tre dischi usciti in questo 2017 che potreste esservi persi, e che potreste voler recuperare.

Jens Lekman, Life will see you now
Ovvero: il pop a regola d’arte. L’artigiano svedese supera i maestri di bottega Pet Shop Boys e Belle & Sebastian: nessun altro sa raccontare così bene storie perfettamente compiute in tre minuti, giostrando leggerezza e profondità come se fosse la cosa più semplice del mondo.

Cesare Basile, U fujutu su nesci chi fa?
Il blues della Sicilia, quello del deserto. Un cantastorie di etica post-punk che incanta interi villaggi proprio come facevano i suoi antenati, raccontando l’arroganza del potere e le credenze popolari con una forza fuori dal tempo.

Julie’s Haircut, Invocation and ritual dance of my demon twin
Il future è indicibile e inquieto, una speranza piena di ombre. Il mondo continua a pulsare come una macchina ostinata, il sax apre un varchi di luce, le chitarre gridano e tornano docili. Improvvisazioni jazz e visioni raccontano l’oggi meglio di tante parole.