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Come ogni anno è ricominciato il campionato dello sport più popolare d’Italia, il calcio. Si tratta indubbiamente di uno sport da cui il linguaggio ha mutuato diverse espressioni gergali, che usa regolarmente anche chi non si interessa alle vicende del pallone. Chi, ad esempio, non si è mai salvato in corner, chi non ha mai dribblato un problema, fatto un autogol o ha dovuto marcare stretto qualcuno? Per non parlare di chi ha raggiunto un obiettivo in zona Cesarini, probabilmente ignorando del tutto l’origine di questa espressione che nacque nei lontani anni 30, quando i gol all’ultimo minuto della mezzala della Juventus Renato Cesarini furono così frequenti da diventare proverbiali.
Ma c’è un altro sport da cui il nostro linguaggio ha forse preso in prestito più espressioni, ed è il pugilato. Popolarissima soprattutto negli anni 60 e 70, la boxe vive oggi in Italia un calo di attenzione, ma rimane comunque molto viva nella lingua di ogni giorno. E’ infatti capitato a tutti di finire all’angolo, ossia in una situazione di estrema vulnerabilità, oppure di prestare il fianco fornendo un facile bersaglio. E quanti di noi hanno poi dato o ricevuto un colpo basso? Magari così forte da mandare al tappeto. La boxe rimane così popolare nel nostro modo di parlare e di scrivere forse perché è uno sport che è la metafora più chiara della vita e delle sue sfide. Sfide in cui in una situazione difficile qualcuno può essere stato salvato dalla campanella, (anche se nei regolamenti odierni la campanella che segnala la fine di un round non interrompe il conteggio dell’arbitro). Sfide in cui si può sempre finire K.O., ma in definitiva l’importante è non gettare la spugna.