Dovete sapere che da dicembre dello scorso anno, due volte al mese, 15 imprenditori si incontrano nella nostra redazione, dove si confrontano con tutor, professionisti e docenti universitari, che li accompagnano in un percorso di collaborazione che ha l’obiettivo di generare idee di business innovativo. Un vero e proprio esperimento che si basa sull’assunto che le differenze possano fare la differenza generando prodotti o servizi in settori ibridi, difficilmente alla portata di singole imprese. Funziona? Non sappiamo come finirà, ma una cosa è certa: su questa strada non siamo i primi e non siamo i soli. E non mancano casi di successo.
Definisci Innovazione
Percorsi erratici è il nome di un analogo progetto del Cise (Centro per l’Innovazione e lo Sviluppo Economico), azienda speciale della Cciaa di Forlì-Cesena. Si tratta di una vera e propria rete costituita da 34 imprese che da oltre un anno collaborano con lo scopo di generare innovazione radicale, alternando incontri di brainstorming a momenti di contaminazione dei saperi. A essere particolarmente innovativo è anche l’approccio epistemologico, come ci spiega Luca Valli, direttore del Cise: «Abbiamo dedicato gran parte degli incontri di contaminazione di questo primo anno a creare un linguaggio condiviso sull’innovazione, perché in effetti chiunque ne parla, ma non tutti hanno le idee chiare su cosa sia veramente. Nei primi incontri di brainstorming raccoglievamo idee su nuovi prodotti o servizi che erano sostanzialmente quelle che ognuno aveva maturato per proprio conto e che ciascuno custodiva nel proprio cassetto. E a ben vedere non erano proprio tutte innovative…». Su questo dato di fatto elementare ma non banale ha agito Percorsi Erratici, fungendo da autentico ambiente sistemico, destrutturando e contaminando le conoscenze, creando interazione, brainstorming, affinamento delle intuizioni. E i cambiamenti non hanno tardato a farsi vedere, come conferma Valli. «Al secondo raccolto, avevamo circa una sessantina di idee, molto più centrate rispetto all’obiettivo, con una decina almeno veramente innovative». Quali? Quasi nulla trapela dal Cise perché le buone idee sono anche buoni affari e gli aderenti alla rete hanno sottoscritto un patto di segretezza. Riusciamo solo a farci dire che queste idee – sulle quali sono in corso studi di fattibilità – rientrano negli ambiti dei servizi alla persona, dei servizi alla collettività, della logistica e, ultimo ma non ultimo, della qualità dell’aria.
Che fine fa la tradizione?
Grazie alle parole di Valli – che non è neanche semplicissimo intercettare dato che il suo lavoro si svolge tra Cesena e le Silicon Valley sparse per il mondo – è più facile comprendere le statistiche che vedono l’Emilia Romagna come una delle regioni italiane a più alto tasso di innovazione, con una massiccia dose di visione e coraggio. Ma in tutto questo che fine fanno la fedeltà e la difesa della tradizione che per certi aspetti hanno reso la nostra regione quello che è in molti settori? Se ci si rivolge a una delle eccellenze regionali per antonomasia – il cibo – si scopre che la capacità di trovare una sintesi armoniosa tra innovazione e tradizione, mettendo la prima al servizio di quest’ultima, è un’altra delle caratteristiche degli innovatori radicali di casa nostra. Gli esempi sono molti ma ce n’è uno che per attualità e rilievo internazionale li rappresenta bene tutti. Ha infatti preso da poco il via, a Reggio Emilia, il Food innovation program, master internazionale organizzato dall’Università di Modena e Reggio in collaborazione con l’Institute For The Future di Palo Alto e dal Future Food Institute di Bologna. Fino a dicembre venti studenti provenienti da tutto il mondo si incontreranno qui per confrontarsi e ipotizzare risposte alle domande che ci pone il futuro dell’alimentazione, non a caso le stesse poste tra i macrotemi di Expo 2015. Il professor Matteo Vignoli, del dipartimento di Scienze e Metodi dell’Ingegneria di UniMoRe, è uno degli artefici di questo master e ci spiega come si svolgerà: «Abbiamo immaginato un master in cui gli studenti potessero partecipare all’incontro tra l’artigianalità dei makers emiliani e la cultura della fabbricazione digitale del cibo per affrontare le criticità nel settore food che l’innovazione è chiamata a risolvere: bilanciare l’efficienza del sistema per avere maggiore sostenibilità, in previsione dell’aumento esponenziale della popolazione mondiale nei prossimi decenni; riportare l’agricoltura vicino alle città o addirittura dentro le città; ripensare le catene distributive. Per fare questo abbiamo riunito le forze di vari soggetti d’eccellenza: UniMoRe metterà a disposizione la competenza nel processo di innovazione, l’institute For The Future la capacità di immaginare il futuro, il Future Food Institute la competenza specifica sul food. Lo abbiamo immaginato come un’opportunità a tutto tondo per chi viene dall’estero e desidera conoscere le migliori e più prestigiose esperienze dell’eccellenza food. Ma abbiamo pensato anche a un’occasione per i soggetti del territorio di aprirsi alle realtà provenienti dall’estero, perché anche un’eccellenza che rimane confinata è destinata a ristagnare in un mercato che si satura». E certamente una grande particolarità di questo master è uno dei luoghi dove i partecipanti passeranno gran parte del tempo: l’OFFIcuCINA. Un po’ campo di battaglia, un po’ laboratorio, un po’ officina artigianale, l’OFFIcuCINA sarà un luogo al centro di Reggio Emilia che metterà a disposizione di docenti, studenti e in generale a chiunque voglia partecipare alla ricerca, non solo gli utensili tradizionali di una cucina professionale, ma anche macchine e competenze di un’officina dell’innovazione. Pertanto sarà dotata di forni, friggitrici, impastatrici, frigoriferi, ma anche stampanti 3D per materiali edibili, laser cut, termoformatrici, macchine da taglio, componenti elettroniche per la personalizzazione ed il controllo in remoto di macchine e prodotti.
Digital champion & c.
Insomma, un vero e proprio paese dei balocchi per gastronomi e tecnologi. Di chi è l’idea? Dell’architetto Francesco Bombardi che ha sviluppato questo speciale laboratorio per il Food Innovation Program, con il supporto di Reggio Emilia Innovazione, del Comune di Reggio Emilia e tanti altri partner, in un lavoro corale che ha visto la collaborazione di altri protagonisti del panorama reggiano dell’innovazione, come Sara Roversi, Paolo Tegoni e Alessandro Schiatti. Bombardi è stato di recente insingito anche della carica di Digital Champion di Reggio Emilia.Di che si tratta? È una carica istituita dall’Unione Europea nel 2012. Ogni Paese ne nomina uno con l’incarico di promuovere e incrementare le competenze digitali dei propri concittadini. Il Digital Champion italiano, Riccardo Luna, ha nominato una rete nazionale di suoi omologhi su scala locale.
Tra questi anche Bombardi che, appena ricevuta la nomina, si è messo a lavorare per crearne a sua volta una ancora più capillare, a livello locale, coinvolgendo una rete di persone e gruppi già attivi sul territorio come Hurricane Start, Restart e tanti altri che hanno trovato nell’Assessore Valeria Montanari un valido punto di riferimento sui temi dell’innovazione.
Sono molte le iniziative, le idee e le startup che Bombardi segue, consiglia e tiene monitorate. Una delle novità più interessanti riguarda le biciclette ideate dal reggiano Franco Cimurri e realizzate anche grazie alla decisiva collaborazione dei makers di Fab Lab, una delle prime fucine di artigiani digitali d’Italia fondata nel 2012 sempre con il supporto di Reggio Emilia Innovazione, del Comune e con la preziosa collaborazione di Fernando Arias. «In giro per il mondo ci sono ormai molte situazioni e contesti favorevoli. Ad esempio, i modelli di biciclette di Cimurri avevano trovato un importante incubatore a Rovereto, dove avrebbe avuto accesso a finanziamenti e incentivi, ma a quel punto, insieme al direttore di Reggio Emilia Innovazione si è impegnato per sviluppare concretamente a Reggio questi modelli nati da un humus cultural-artigianale tutto reggiano». Nel frattempo Bombardi non rinuncia a portare avanti qualche sfida personale. È ad esempio il caso di Nonnabot, un dispositivo meccatronico a controllo numerico per fare la pasta fresca collegando la classica rotella domestica o un rullo per fare le tagliatelle. Il prototipo, progettato con Marcello Ligabue per l’evento MONDO PASTA organizzato da Stefano Maffei per il Salone di Milano 2014 e realizzato con ZTM, è pensato per un uso domestico, pertanto può essere facilmente collegato a qualsiasi pc da dove si potrà controllare quali formati di pasta tagliare e in quale quantità. Naturalmente sono garantite prestazioni a prova di nonna.
Condivide et coordina
E in tutto questo fermento, la politica sta a guardare? Lo abbiamo chiesto a Valeria Montanari che da quasi un anno a Reggio Emilia ricopre l’incarico di Assessore all’Agenda digitale con delega all’innovazione tecnologica. In un contesto come quello reggiano, non stupisce che sulla scrivania del suo ufficio si manifestino continuamente documenti per iniziative sempre nuove e sempre più innovative. Ma pare che ancora più spesso sia lei quella in movimento, avvistata nei tanti luoghi dell’innovazione a Reggio Emilia. «In passato – ci racconta – i Comuni non sono stati sempre chiamati a lavorare direttamente sullo sviluppo economico locale, sia perché il trend positivo degli indicatori faceva sì che si procedesse con una sorta di spinta inerziale, sia perché erano soprattutto altri enti pubblici a occuparsene. Oggi il contesto locale e nazionale è profondamente mutato e l’amministrazione pubblica deve saper costruire una governance anche sul piano dell’innovazione economica. Magari rimanendo un passo indietro rispetto all’iniziativa, fungendo da elemento catalizzatore e di coordinamento dei tanti soggetti che fanno innovazione sul territorio».
I soldi chi ce li mette?
Ricapitoliamo: visione, tradizione, coraggio, condivisione, coordinamento. Mancano solo i capitali… o no? Sempre a Reggio Emilia troviamo anche un luogo dove si prendono cura delle start up con diversi servizi di supporto volti ad agevolarne la crescita e lo sviluppo. Rei (Reggio Emilia Innovazione) è uno degli altri avamposti reggiani dove Cciaa, Comune, Unindustria e altri soggetti ed enti investono risorse con uno sguardo incessante sul futuro. Arturo Tornaboni ne è il direttore e ci racconta qualcosa che non è meno innovativo di quello che ci siamo detti sin qui: «In quest’ultimo periodo ho rilevato un rinnovato e forte interesse delle banche su questi temi. Cercano dei partner che le accompagnino nella scelta e nella valutazione dei progetti. Noi stessi riceviamo moltissime richieste di consulenza dagli istituti di credito, che capiscono di non poter più valutare gli affari solo basandosi su uno “storico” che spesso è inesistente, ma di dover necessariamente scommettere sul futuro». E non ce ne vogliano i signori delle banche (che scontano come tutti le difficoltà e le dinamiche connesse a qualsiasi cambiamento), ma alle parole di Tornaboni non vi viene da dire altro che “Alleluja. Alleluja”?