di Chiara Serri
Il nostro tema del mese è artificiale. Una tua personale lettura?
Artificiale è tutto ciò che non è naturale, che è stato prodotto dall’uomo. Il termine non ha per me necessariamente un’accezione negativa, tuttavia quando si sceglie di allontanarsi dal naturale credo che occorrano molta prudenza e umiltà, perché c’è il rischio di perdere il controllo. Penso a Frankenstein di Mary Shelley, e al momento in cui la creatura si rivolge al suo creatore con la domanda «Come osi giocare così con la vita?».
Il tuo ultimo lavoro fotografico s’intitola Sofisticazioni alimentari. Quanto hanno influito i tuoi studi scientifici e la tua attività professionale sul progetto?
Ho sempre lavorato, anche se da punti di vista diversi, nel settore ambientale. Penso che nella scelta dello stile di vita non abbiano rilevanza solo gli aspetti tecnologici: mangiare la verdura coltivata nel mio orto non è meno importante che installare un impianto fotovoltaico sul tetto. Sofisticazioni alimentari cerca di esplorare il sottile limite tra orribile e meraviglioso, quando scienza e tecnologia alterano il naturale e lo trasformano in artificiale. Immagini disturbanti per spingere lo spettatore a fermarsi un istante, con la forchetta sospesa, pensando bene a cosa si sta mettendo in bocca. Mangiare, nutrirsi, è qualcosa di troppo importante per farlo distrattamente.
La realizzazione dell’opera dal punto di vista tecnico?
Volevo immagini semplici, soggetti reali, concreti e tangibili. Per questo, ho evitato qualsiasi manipolazione digitale. Le composizioni sono state realizzate manualmente a partire da frutta, verdura e uova. Tagliati, cuciti, assemblati e poi fotografati con una fotocamera medio formato a pellicola. I negativi sono poi stati acquisiti con uno scanner e stampati in digitale su carta fotografica. Gli unici trucchi sono due doppie esposizioni, fatte però direttamente sul negativo.
Tra i soggetti vediamo frutti transgenici, alterazioni e ibridazioni animale/vegetale… Come si inserisce la tua ricerca all’interno del dibattito relativo a OGM e bioetica?
Diciamo che sono piuttosto schierato. La favola delle grandi multinazionali impegnate a combattere la fame nel mondo con gli organismi geneticamente modificati penso sia, appunto, solo una favola.
Elemento ricorrente è il filo, che diviene tratto aggregante. Significati sottesi?
Il filo rappresenta l’intervento dell’uomo che unisce parti diverse secondo il suo disegno. Ma la cucitura è un’unione debole e dolorosa: le due parti sono destinate a rimanere tali, a non diventare mai davvero un tutt’uno.
Da un punto di vista formale, le immagini sono accomunate da bianco e nero, sfondo neutri e luci semplici…
Volevo che l’attenzione fosse tutta sul soggetto, senza elementi di distrazione. Una via di mezzo tra la vetrina di un negozio e un tavolo da sala operatoria.
Presentazioni e collaborazioni?
Le fotografie sono state vigrx vs extagen esposte a Correggio in occasione di NaturaBio e Utile Netto, con una performance a cura di Elisa Lolli e Alessandro de Nito. Sono state poi selezionate per Play With Food a Torino, il primo festival di arti visive e performative interamente legato al cibo, e sono approdate alla Galleria de’ Bonis di Reggio Emilia per Fotografia Europea 2013. Proprio in quel periodo mi ha contattato Luca Ponzi, autore di un saggio straordinario che illustra i profitti della malavita organizzata con le sofisticazioni alimentari. Storie molto vicine a noi, come un omicidio avvenuto tra Reggio e Modena nel 2002, legato alla contraffazione dei prosciutti. Storie che siamo molto veloci a dimenticare. Quando mi ha proposto di portate le fotografie alle presentazioni del libro ho accettato con entusiasmo. È meraviglioso poter collaborare con un fine comune, ognuno con i propri strumenti.
Al momento stai lavorando a due nuovi progetti che prevedono l’utilizzo del fuoco…
Il primo è una serie di ritratti intitolata Te lo leggo negli occhi. I soggetti sono al buio: l’unica fonte di illuminazione è un fiammifero acceso, che faccio scorrere davanti ai loro occhi. La luce della fiamma illumina i loro volti e contemporaneamente ne cancella gli occhi. Il mio è un gesto violento e al contempo misurato, è la voglia di conoscere e la paura di guardare davvero chi ho davanti. La seconda serie s’intitola Assenze. Interni bui, un letto sfatto, i resti di una colazione, oggetti di uso quotidiano che testimoniano la presenza di qualcuno fino a pochi minuti prima. Chi è questo qualcuno? Dov’è adesso? Tornerà? Non importa: ciò che conta è che ora è altrove. Lì è rimasto, solo, chi guarda.
Un altro tema che spesso ricorre nella tua ricerca è la memoria, intesa come sguardo al passato per leggere il presente. Comodini e Via Emilia?
Comodini è una serie che spero di non finire mai. Sono ritratti di persone attraverso i loro comodini, fotografati così come sono, senza nessun intervento preparatorio. La quantità di oggetti riposti, l’ordine maniacale o la stratificazione disordinata, la polvere o, in alcuni casi, l’evidenza di una pulizia dell’ultimo momento dicono molto dei loro proprietari. Le fotografie di Via Emilia sono appunti… Ho in mente un viaggio, che prima o poi farò, a piedi lungo la Via Emilia, diretto verso il mare, con Ghirri e Celati nello zaino.
Progetti in cantiere?
Una mostra a Il Posto di Modena nella prima metà del 2014 e un progetto a cura di Valcucine. Sono stato anche invitato a prendere parte a Nutrimentum, a cura di Studio Chiesa, che si terrà a Milano per l’Expo 2015…
Una curiosità: che fine ha fatto la frutta?
Mangiata!