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di Tatiana Salsi
fotografia Patrizia Garau

Nell’era dei tagli permanenti alle amministrazioni locali e dell’ascesa di internet nasce un’idea per ottimizzare l’uso delle sempre più scarse risorse pubbliche. Una soluzione, frutto della riflessione di esperti di tecnologia e uomini di marketing, capace di sviluppare una cooperazione sempre più stretta tra pubblico e privato. Si sviluppa così l’idea di smart city, ovvero di una città tecnologicamente avanzata e intelligente, capace di attrarre investimenti, ma con una nuova consapevolezza ambientale e attenzione ai problemi dell’inquinamento. «Una smart city – spiega Fabrizio Sarti, dirigente cooperativo – è una città organizzata dalle infrastrutture Ict, che dà valore alla creatività dei propri cittadini, che innesca innovazione nel sistema d’impresa, che risparmia energia e risorse naturali, che è aperta ma non schiacciata dai flussi dell’economia: si tratta sostanzialmente della ricerca di un nuovo paradigma economico che assicuri sviluppo migliorando la qualità della vita dei suoi abitanti, e della possibilità, attraverso il governo della città, di trovare risposte a sfide della contemporaneità come mobilità sostenibile, protezione ambientale, tutela della salute, domanda di sicurezza e, per il nostro Paese in particolare, valorizzazione dei beni culturali».

G(EO)LOCALIZZIAMOCI
Far crescere la smart city significa superare la dicotomia pubblico-privato e globale-locale, utilizzando la tecnologia per migliorare i servizi offerti ai cittadini

«Con l’idea di smart city – continua Sarti – si supera il trade off tra globale e locale. Anzi il local, il capitale sociale territoriale, se valorizzato e incorporato nella creazione di valore di beni e servizi, diventa vantaggio distintivo. La pubblica amministrazione ha una grande opportunità in più: utilizzare bene le tecnologie smart per migliorare l’efficienza, l’economicità, l’accessibilità, la trasparenza dei servizi forniti ai propri cittadini. Questo sarebbe un contributo determinante al miglioramento della produttività totale dell’economia nazionale, e contemporaneamente toglierebbe spazio a posizioni di mercato non concorrenziali. Vantaggi collettivi si sommano a vantaggi individuali». L’Italia e l’Europa hanno abbracciato con convinzione queste idee: nel 2007 il Politecnico di Vienna, in collaborazione con l’Università di Lubiana e il Politecnico olandese di Delft, pensò a un modello di valutazione delle città per mettere in luce le città smart. Nel marzo 2012 nasce l’Agenda digitale italiana che si sviluppa su sei assi strategici e uno di questi è l’idea della smart city. Ecco allora che si valutano le città sulla base del livello di smartness, vale a dire della loro capacità di trasformarsi in smart city. è quello che ha fatto l’Osservatorio Between di Milano con lo Smart City Index. Nella top ten 2013, ad esempio, Bologna si colloca in cima al podio soprattutto per la smart health, ma presenta un grado d’innovazione molto superiore alla media in quasi tutte le altre aree tematiche. Bologna è seguita da Milano, Roma, Reggio Emilia, Torino e Firenze. Reggio è la più smart tra le città medie: il rapporto, in particolare, mostra come il capoluogo sia al vertice assoluto per diffusione di veicoli elettrici (circa 350, la quota nazionale più alta in rapporto alla popolazione) e piste ciclabili (190 chilometri per 173mila abitanti). Bari è invece la prima tra i capoluoghi di provincia del Mezzogiorno (al 17esimo posto).

UNA VIA ITALIANA
Il nostro Paese ha un contesto urbano del tutto particolare: perchè le città siano intelligenti dovranno anche essere creative e capaci di valorizzare il capitale culturale dei loro abitanti

In Italia si è avviata una discussione molto viva sulla scelta di un modello italiano di smart city che, essenzialmente, tenga in maggiore considerazione rispetto ai modelli anglosassoni le peculiarità del nostro tessuto urbano, sociale e produttivo. Un esempio è l’idea di Città creativa sostenuto dal professor Gianfranco Franz dell’Università di Ferrara. Secondo lo studioso sono almeno tre le ragioni per individuare una via italiana alla smart city. «In primo luogo – spiega Franz – l’Italia è una nazione con pochissime grandi metropoli e centinaia di città piccole e medie, con loro caratteristiche, punti di forza e anche di debolezza. Una smart city richiede un approccio all’innovazione e all’investimento che molte città di piccole dimensioni non hanno o possono avere difficoltà a maturare. Secondo: fra le aree più importanti delle nostre città ci sono i centri storici, con un patrimonio artistico-culturale che concentriamo in misura superiore a qualsiasi altro Paese. Pensare a innovare tecnologicamente le strutture edilizie e urbane antiche è affascinante, ma pone anche problemi enormi. Terzo: una smart city richiede investimenti finanziari pubblici e privati che VolumePills l’Italia oggi non è in grado di sostenere. Ciò non significa che non siamo nelle condizioni di agire. Non potremo fare grandi investimenti infrastrutturali, ma possiamo avviare tanti progetti di calibro minore che pongono comunque la cittadinanza e le amministrazioni locali sulla via della smart city». L’idea di Città creativa sostenuta da Franz ha già qualche esempio nel mondo e ha, come primo scopo, quello di valorizzare il capitale culturale. In Italia, come spiega il professore, ancora nessun agglomerato urbano ha investito chiaramente su questo asse di sviluppo, «perché si tende a limitare il termine di creatività al mondo delle arti visive, della moda e del design». A Ferrara si muove qualcosa. «Da circa due anni la città sta sperimentando proprio una via italiana all’incubazione di nuovi talenti creativi che sappiano evolvere in impresa, praticando una innovativa politica di riuso e rigenerazione urbana a bassa intensità di capitali. Basti pensare allo Spazio Grisù, una factory creativa nata in una caserma dismessa dei vigili del fuoco e dedicata a start up e ad eccellenze che operano sull’asse cultura-sviluppo». Ma dunque quali sono le caratteristiche della Città creativa? «Un luogo simile – precisa Franz – prima di tutto valorizza il capitale culturale dei cittadini, aprendo all’innovazione e al cambiamento, e affrontando problemi anche tradizionali con modalità non ortodosse. La città creativa inventa soluzioni nuove, sperimentali, non indicate da nessun manuale: è un posto che non ha paura di sbagliare, di dare opportunità soprattutto ai giovani di talento. è una città che deve sì saper attrarre le energie migliori dall’esterno, ma prima ancora deve saper coltivare le competenze e il talento dei propri cittadini. Essere creativi non significa spendere cifre enormi per il consumo culturale, ma investire intelligentemente per permettere una maggiore produzione creativa nelle arti, nell’industria e nell’artigianato». Ma non si può pensare alla crescita della smart city senza che i cittadini ne conoscano significato e potenzialità. «Bisogna educare i cittadini a partire dai ragazzi – continua Franz – proprio come si iniziò a fare 20 anni fa con il tema dei rifiuti e della raccolta differenziata, dove in pochi anni abbiamo recuperato posizioni su posizioni. E bisogna mettere in rilievo i risparmi che l’investimento in smart city consentirebbe alle amministrazioni, alle imprese, alle singole famiglie».

TECNOLOGIA E SOSTENIBILITÀ
Le città del futuro vanno costruite su basi solide: I nostri amministratori locali dovranno essere capaci di investimenti a lungo termine

Ma come sarà questa città intelligente? Il professor Franz ne annuncia i tratti. «La smart city del futuro è una città più sostenibile, dove tecnologia e approccio innovativo migliorano le condizioni di vita degli abitanti e l’impiego del loro reddito, alto o basso che sia. La smart city del futuro potrebbe offrire trasporti pubblici gratuiti, risparmiando centinaia di migliaia di euro pubblici spesi ogni anno per garantire la circolazione quotidiana di decine di migliaia di automobili. La smart city del futuro è una città dove tutti possono connettersi liberamente e gratuitamente al Wi-Fi, accedere alla rete e alle telecomunicazioni, che sono le vere autostrade di sviluppo della nostra epoca». Quello della smart city è un progetto a lungo termine e la fretta è un grande rischio. «I nostri amministratori locali – conclude Franz – devono maturare la consapevolezza che i grandi investimenti non si realizzano in cinque anni. I nostri imprenditori devono tornare ad avere visioni di lungo corso anche se, ovviamente, devono guardare ai bilanci. Quando nell’Ottocento piantavano i platani e i tigli nelle nuove strade della città che cresceva, i nostri predecessori sapevano benissimo che non avrebbero mai fatto in tempo a vederli nelle loro dimensioni attuali. Ma questo non gli ha impedito di costruire i viali che ancora oggi percorriamo. Dobbiamo sapere che il cammino è lungo e che i benefici li coglieranno principalmente le generazioni a venire, ma dobbiamo muoverci ora, anche con piccoli passi. Anche solo iniziando a cambiare gli interruttori della luce, passando a quelli con rilevatore di presenza, per risparmiare sulla bolletta mese per mese, anno per anno. Sembra una banalità, ma in realtà è il segno di un abito mentale. Se cambio l’interruttore di casa o dell’azienda sarò in grado anche di cambiare la mia città. Con la collaborazione di tutti i cittadini. Perché l’altro elemento fondamentale della città intelligente è che il successo non sarà figlio degli sforzi di un individuo, ma di una collettività».